Lo squalo, si sa, ha nell’acqua il suo elemento naturale. In essa nasce, cresce, vive e soddisfa il proprio appetito, muovendosi agile nelle correnti per azzannare al momento giusto la propria preda con scatti repentini. Così, e non deve sorprendere, ha fatto ieri Vincenzo Nibali, esemplare unico e prezioso di “Squalo dello Stretto”.
Da Milano, sede di partenza del Mondiale di Primavera, egli infatti ha iniziato il proprio lungo cammino verso Sanremo trovandosi già sotto l’acqua, una pioggia fitta e nient’affatto primaverile che ha accompagnato lui e gli altri 174 coraggiosi fino alle prime località della Riviera di Ponente, lambite dalle mosse e scure acque del Mar Ligure. Qui egli allora si è mosso guardingo protetto dai compagni di squadra, evitando sforzi inutili, pericolose cadute e rifocillandosi con giudizio nell’attesa di sferrare il guizzo decisivo per conquistare il boccone più ambito, il trofeo della Classicissima.
Ciclismo. Capolavoro di Vincenzo Nibali sul Poggio, la Milano-Sanremo è sua
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Quel momento è arrivato sul Poggio, ultima e decisiva occasione per gli attaccanti di razza di giocarsi le proprie carte ed evitare un arrivo a ranghi compatti. Stazionando fin dalle prime rampe nell’avanguardia del gruppo, Vincenzo ha potuto, molto lucidamente, vigilare sulle mosse degli aspiranti vincitori e sull’evolversi della corsa nelle zone di testa e, fiutando nell’azione del campione lettone Neilands un’esca importante, gli si è subito agganciato a ruota.
In quell’istante bisogna dire che, come ammesso sinceramente in seguito, Nibali si stava muovendo in funzione di stopper per favorire Sonny Colbrelli, più veloce di lui e più adatto per caratteristiche a quel finale di corsa. Ma a quel punto, visto il divario scavato dai due, lo “Squalo” non ha potuto tradire il proprio istinto da vorace predatore e il suo nobile appetito e, con il mare alle spalle e uno scatto potente e deciso, ha salutato il 23enne compagno d’avventura della Israel Cycling Academy, involandosi a denti serrati verso la cima dell’erta prima e la tecnica picchiata verso la città dei fiori poi.
Senza saperlo, a posteriori qui Nibali ha rispettato una vecchia legge non scritta secondo cui basta scollinare la cima del Poggio con almeno dieci secondi per transitare primi sulla linea bianca in via Roma. Vincenzo sicuramente non ci deve aver pensato più di tanto e anche per i tifosi e i semplici appassionati questa rappresentava più una speranza che una certezza.
Perché percorrendo le 23 curve della discesa e i successivi 2,3 chilometri di pianura fino al traguardo lo Squalo da predatore è diventato la preda, inseguito alla disperata da un gruppo ben più numeroso e ugualmente affamato del quale facevano parte alcune delle ruote più veloci del panorama ciclistico mondiale.
Sanremo è un'invenzione. E oggi alla #MSR Nibali ci ha ricordato perchè.https://t.co/Qw9mslnNEx pic.twitter.com/AGc7NDdiaJ
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Per questo quei dodici, undici, dieci secondi di vantaggio che dividevano Nibali dagli inseguitori perdevano sempre più senso: era una lotta al cardiopalma, un confronto a suon di metri guadagnati e metri persi fra un uomo solo, un coraggioso e indomito siciliano in avanscoperta per la gloria e un posto tra le leggende del ciclismo, e un plotone di scaltri velocisti desiderosi di nobilitare il proprio palmarès con la classica monumento che più gli si addice.
Era la sfida fra tutti i principali favoriti della vigilia e chi favorito non era, essendo Vincenzo uomo da grandi montagne e da scalate ben più impegnative. La sua unica speranza, e lo è sempre stata nei suoi vani tentativi fino a ieri con la classica sulla carta meno adatta alle sue corde, era arrivare da solo, facendo il vuoto in salita e consolidando/aumentando il vantaggio in discesa, una delle migliori specialità della casa.
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Così se l’era sempre sognata Vincenzo una sua vittoria a Sanremo, così se l’era sognata anche alla vigilia ventiquattro ore prima e ora, d’un tratto, quel finale si materializzava davanti ai suoi occhi, sotto le sue ruote, ma c’era ancora quell’infimo tratto di pianura da percorrere, lui in strada e i tifosi dietro le transenne, col cuore in gola, con l’ansia di venir ripreso, di veder svanire l’occasione perfetta a poche centinaia di metri.
Ma, ancora una volta, la grinta, il coraggio e l’estro dello Squalo, le stesse qualità che l’hanno portato a trionfare al Tour de France, alla Vuelta Espana, due volte al Giro d’Italia e altrettante al Giro di Lombardia, non l’hanno tradito: le sue fauci fameliche hanno divorato gli ultimi metri di pianura, le sue gambe piene e rotonde hanno mulinato forte fendendo l’aria marina fino agli ultimi metri cento metri quando, voltandosi per la prima volta dall’inizio della sua azione in salita, si è reso conto di avercela fatta e, ormai sicuro che quel minaccioso gruppo di contendenti non avrebbe più potuto strappargli la vittoria, ha alzato le braccia al cielo ebbro di gioia e incredulità.
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La bacheca del siciliano così si è arricchita di un altro trionfo, uno fra i suoi più belli in carriera, figlio della determinazione, della voglia di onorare la competizione e di un modo di correre all’antica, improvvisando, entusiasmando, seguendo le sensazioni proprio come facevano Felice Gimondi e Eddy Merckx, gli unici ad aver vinto in carriera tutte e tre le grandi corse a tappe e la Milano-Sanremo. Tutto ciò fino a ieri, quando in questa ristrettissima e illustre cerchia è entrato a far parte Vincenzo Nibali che, oltre a questo, può sedersi anche al tavolo di Francesco Moser e Giuseppe Saronni, i soli con il messinese ad aver vinto tutte e quattro le principali corse italiane (Giro d’Italia, Sanremo, Lombardia e Tirreno-Adriatico).
Sembra quindi inutile provare a nascondere l’evidenza: stiamo palando di una leggenda tra le leggende, di alcuni dei campioni più amati di sempre e che hanno scritto alcune delle pagine più belle della storia del ciclismo.
Sarà per quest’aura leggendaria, per il peso e il modo in cui è arrivata questa vittoria ma anche soprattutto per i modi, semplici e cordiali, e la passione che contraddistinguono il siciliano che, a congratularsi con lui per il successo, sono stati davvero tutti, dalle istituzioni, agli ex corridori fino a chi ieri lo ha visto imporsi di persona.
Da Sagan (marcatosi a vicenda con Kwiatkowski e forse penalizzato assieme al polacco dalla riduzione del numero dei corridori per squadra da otto a sette uomini nelle classiche) a Demare (terzo dopo la vittoria con polemiche di due anni fa) a Viviani (punta della Quick-Step in volata, diciannovesimo al traguardo), tutti hanno voluto complimentarsi con Nibali e riconoscergli la grandezza dell’impresa, un gesto indelebile che verrà ricordato a lungo e che ha marchiato in maniera indiscutibile un’edizione della Milano-Sanremo, la numero 109, che altrimenti si sarebbe conclusa facilmente con una volata di gruppo rivelandosi piuttosto piatta sul piano delle emozioni.
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In questo senso, forse, vale la pena spendere due parole e fare una veloce considerazione su quanto una corsa dal fascino assoluto come la Milano-Sanremo possa fare per stare al passo coi tempi di un ciclismo in continua evoluzione. Ieri infatti se non fosse stato per l’azione di un fuoriclasse la corsa non sarebbe stata né particolarmente entusiasmante né selettiva. Con i materiali e le preparazioni di oggi difatti diventa sempre più agevole per un sempre maggior numero di corridori passare indenni salite come la Cipressa e il Poggio e dare vita così, come sarebbe stato ieri probabilmente senza l’azione di Nibali, a un finale a ranghi compatti.
Soltanto atleti particolarmente dotati a livello fisico e di talento (supportati da un’eccellente condizione aggiungerei) sono in grado di fare quella selezione necessaria per evitare uno scontato epilogo allo sprint. Questo, unito all’assenza di asperità potenzialmente in grado di appesantire le gambe degli atleti prima degli ultimi 30 chilometri (i Capi e il Turchino non rientrano in questa categoria) fa sì che la corsa rischi di non dare alcun tipo di sussulto, eccezion fatta per qualche caduta, fino alle ultime due scalate, privandola di quel tipo di emozione che invece caratterizza gli altri monumenti dove selezione e soluzioni vincenti possono avvenire anche da lontano.
De Passo del Turchino, het hoogste punt van @Milano_Sanremo is gepasseerd: nog 149 kilometer te gaan! #MSR pic.twitter.com/kmeAER1rnC
— Wieler Revue (@wielerrevue) March 17, 2018
Resta allora da chiedersi se, per mantenere intatto il prestigio della corsa e far sì che la stessa non si trasformi in una lunga attesa dello sprint finale, non sia il caso di introdurre come si fece qualche anno fa per motivi logistici una difficoltà in più a metà percorso (ad esempio Le Manie), magari ad anni alterni, per sparigliare ulteriormente le carte, dare un’opportunità di creare selezione a quelle squadre o corridori che vogliono rendere dura la corsa ed evitare infine che il telespettatore si sintonizzi davanti alla televisione solo per assistere agli ultimi trenta chilometri perché sa già che tutto avverrà in quel lasso di tempo.
Poi la corsa, e bisogna sempre ricordarlo, la fanno e la impostano i corridori, però perché non fornirgli almeno un’altra occasione per renderla più dura, al netto della facilità di assistere ad un esito in volata? Con questo interrogativo l’Italia del pedale intanto sicuramente si gode la perla del proprio campione, esulta per la conquista delle prime pagine dei giornali e inizia già a guardare speranzosa alle classiche del nord che si apprestano ad iniziare.
Lassù il primo grande obiettivo sarà il Giro delle Fiandre, corsa che non vede un trionfo italiano dal lontano 2007. Al via della “Ronde” quest’anno ci sarà proprio Vincenzo Nibali, al primo test in carriera sugli strappi fiamminghi: non sarà che come già molti iniziano ad augurarsi, dopo aver vinto le ultime due classiche monumento consecutive (Lombardia 2017 e Sanremo 2018), l’appetito dello “Squalo” vien mangiando?
Foto copertina: profilo twitter ACCPI Assocorridori
Federico Guido
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