Alcuni potrebbero definirlo una sorta di mentalismo, ma, sebbene vi si avvicini particolarmente tanto, non si tratta proprio di questo. Un programma, realizzato da ricercatori di Stanford e dall’University of Washington, e pubblicata su Plos One (rivista internazionale impegnata nella divulgazione di ricerche riguardanti l’ambito scientifico), è in grado di decifrare cosa esattamente stia vedendo in quel preciso momento, mediante impulsi elettrici encefalici, l’individuo in questione. Con questo algoritmo, come spiegano gli ideatori, ci si auspica di riuscire ad agevolare la riabilitazione di persone che sono state affette da tumori o ictus.
Per compiere tutto ciò, gli scienziati si sono serviti di elettrodi che registrassero l’attività cerebrale – per l’esattezza, quella del lobo temporale e occipitale – di sette pazienti. A essi sono stati mostrati dei ritratti di volti e case, mentre un software inventato dai ricercatori teneva sotto controllo due tipi di segnali: gli Event-Related Potentials (o Erp), indici del fatto che neuroni del cervello si stanno attivando simultaneamente, e i Broadband Signals, segnalatori dell’opposto di ciò appena detto. Per mezzo di siffatti input, gli studiosi hanno chiesto alla macchina di registrare le prime duecento risposte date dai pazienti, chiedendovi anche di indovinare le seguenti cento usufruendo dei percorsi memorizzati dagli elettrodi. Il risultato è stato un vero successo, poiché, nonostante lo scarto di qualche secondo, l’algoritmo ha perfettamente intuito quando i volontari osservavano l’immagine.
Il desiderio di Kai Miller è quello di riuscire, qualora fosse possibile, a curare i danni neurologici subiti, agendo senza intermediari direttamente sul cervello. Individuando i segnali delle aree cerebrali che sfortunatamente non riescono più a comunicare tra loro, e rintracciando anche la zona dell’encefalo a cui quest’impulsi sono diretti, quest’ultima la si potrebbe stimolare artificialmente nella speranza che in futuro ritorni a funzionare naturalmente. Anche per pazienti colpiti da sindrome locked in – in italiano “malattia del chiavistello”, sintomatologia in cui gli ammalati sono coscienti ma completamente paralizzati nei muscoli volontari del corpo a causa di ictus tronco-encefalici -, si sta progettando di mettere a punto un metodo che migliori la loro facoltà di relazione con il mondo esterno. Non c’è niente di meglio di scoperte scientifiche che sopprimano, o per lo meno, leniscano, i mali del corpo: dare alle persone la speranza che, nonostante tutto non smetteranno di vivere è la vera certezza di vita.
Anastasia Gambera
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