BOLOGNA – «Se avete voglia di sperimentarvi, tramandare un sapere, portare nuova ispirazione e vivere un sogno che diventa realtà, Lambanda è l’esperienza che fa per voi». Così cita la pagina Facebook del particolare condominio di via Braina 7, che sta cercando nuovi coinquilini da inserire al secondo piano appena ristrutturato. Lambanda è un progetto di co-housing e co-working, nato nel cuore di Bologna, il quale propone un modello abitativo basato sulla condivisione di esperienze e di conoscenze. La missione è quella di trasformare un semplice condominio in un laboratorio in cui sperimentare nuove forme di abitazione e collaborazione, un luogo di crescita personale e di continua ricerca. E anche solo per quanto riguarda il pagamento degli affitti, le modalità non sono del tutto convenzionali: sui social si trovano annunci con normali prezzi relativi agli affitti di doppie e singole (rispettivamente, 225 euro e 350 euro mensili); tuttavia, in alcuni casi i prezzi vengono contrattati se l’ inquilino presenta progetti e consulenze utili.
Nasce dall’idea di Vincenzo Rizzuto, calabrese 26enne e studente di medicina. Il ragazzo, dopo aver stipulato un normale contratto d’affitto in un appartamento dello stabile, inizia a dialogare con la Fondazione Pisp, proprietaria dell’immobile, per dare il via a questo progetto di particolare co-abitazione. Da un’iniziale partenza, quasi silenziosa e segreta, ora hanno raggiunto i 16 coinquilini di ogni età e ceto sociale: studenti, ricercatori, liberi professionisti e startupper. Tra i più anziani del gruppo, Dario Vanelli, 61 anni, fisarmonicista che abita al terzo piano con la famiglia di musicisti e attori, emblema della ricerca di trasversalità.
L’idea alla base di questo progetto è infatti che ognuno metta a disposizione le sue competenze, in una forma di apprendimento e di ispirazione reciproca fluida e fatta di spazi condivisi.
Anche la semplice riunione condominiale cambia volto: non si tratta più della banale discussione punto per punto dell’ordine del giorno, ma di vere e proprie lezioni in cui si possono anche chiamare esperti per ottenere le migliori soluzioni possibili. «Dall’interazione tra diversi coinquilini, dall’incrocio di personalità differenti sono nate numerose proposte di start up ed eventi» ci specifica Vincenzo Rizzuto. Dopo la prima call del giovane calabrese su Facebook, «Cerco persone per vivere in una casa dove sapersi riposare e sperimentarsi in tempo e conoscenza», tante sono state le risposte positive anche nel capoluogo emiliano Ma il co-living non è stato inventato qui, è una realtà che ha avuto inizio nell’autunno del 2015 negli USA con alcune start up, come Common e Pure House. Quest’ultime si sono gettate nella gestione del mercato immobiliare dello short term, sfruttando il desiderio di molti under 35 (e non solo) i quali hanno preferito puntare sull’incremento delle proprie conoscenze e della propria cultura, piuttosto che buttarsi nell’acquisto di un’abitazione personale.
Ryan Fix di Pure House dichiara, infatti, che «Quello che sta trainando il co-living, e il movimento di condivisione dello spazio abitativo, è il desiderio dei giovani professionisti di vivere in una community con altri creativi e innovatori, in un mondo fatto di condivisioni e di collaborazioni, senza frontiere di spazio e tempo».
Queste, appunto, nuove frontiere abitative, pongono le loro basi sul prorompente concetto di co-working e sull’allontanamento della circostanza in cui si desidera sistemarsi e creare una famiglia. Si tratta di un fenomeno in espansione che ha toccato anche l’Inghilterra con la sua maestosa Collective; e proprio in Italia. il Centro di Ricerca di Salerno, insieme ad Home for Creativity, stanno mappando le esperienze di co-living nel mondo. Il caso bolognese ha attirato anche la loro attenzione.
Giulia Bergami
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