Fino all’inizio degli anni ‘90, le mete predilette da ogni calciatore erano Italia, Spagna e Inghilterra. Paesi in cui poter misurare le proprie ambizioni, lottando per traguardi nazionali e internazionali. E, agli stimoli professionali, era possibile affiancare anche la soddisfazione economica, visto che i contratti faraonici si firmavano solo in questi campionati. Poi, il trend è cominciato a cambiare e, con esso, anche i sogni degli atleti.
Dalla seconda metà del decennio, la moda è diventata il Giappone – pensiamo agli attempati Schillaci e Stojkovic, ma anche gli emergenti Amoroso e Leonardo, pronti a imbarcarsi per Tokyo e dintorni -. Poi, allo scoccare del nuovo millennio è stato il turno dei paesi del Golfo con Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita pronti ad accogliere – e ricoprire di petroldollari – campioni a fine carriera (Batistuta, Caniggia, Guardiola, Effenberg, Desailly e Cannavaro tanto per citarne alcuni) e talenti sudamericani di secondo livello.
Adesso, la nuova meta pare essere la Cina per giocatori sul viale del tramonto, ma anche per altri che, in teoria, avrebbero ancora qualcosa da dare al calcio che conta. Insomma, grazie alle ingenti risorse economiche, queste destinazioni esotiche si sono trasformate in pochi anni nell’El Dorado del calcio.
La storia di cui vogliamo parlarvi oggi, però, è diversa. Nessun luogo leggendario ricoperto da chili di oro e pietre preziose. Ma solo tanti chilometri di deserto e solitudine. Il protagonista è Zahir Belounis, attaccante franco-algerino costretto a emigrare in Qatar perché in patria non aveva avuto fortuna.
Nato il 15 febbraio 1980 a Saint-Maur-des-Fossés, un comune dell’Île-de-France situato a soli 12 chilometri da Parigi, inizia la sua carriera al Olympique Noisy-le-Sec dove gioca fino al 2001. Da quel momento, inizia a peregrinare nelle serie minori del calcio transalpino, non riuscendo mai ad andare oltre il Championnat de France amateur 2, l’equivalente della nostra Serie D.Così, nel 2005 decide di provare l’esperienza asiatica. Ad accoglierlo c’è la Telekom Malaysia, un club con due coppe nazionali in bacheca, ma che aveva già intrapreso una fase calante che nel 2007 l’avrebbe portato fallimento. Così, Belounis opta per il ritorno in Europa, stavolta in Svizzera. Disputa due stagioni con i dilettanti del La Tour/Le Pâquier, ma poi decide di fare ancora le valigie.
Nell’estate del 2007 arriva la chiamata che cambia la sua vita: l’El Jaish lo porta in Qatar. Si tratta di un club di recente formazione, iscritto in seconda divisione, ma con l’obiettivo – poi raggiunto – di diventare in breve termine uno dei punti di riferimento del calcio mediorientale.
All’inizio, tutto sembrava andare per il verso giusto. In due stagioni il club situato in un sobborgo di Doha si laurea altrettante volte campione della seconda divisione, ma non ottiene la promozione nella Stars League, perché non ancora eleggibile dalla federazione. Belounis, che intanto era diventato anche capitano, però, inizia a non ricevere più lo stipendio. Trattiene l’amarezza, poi iniziano i malumori. La società prima lo manda per un anno in prestito all’Al-Markhiya. Poi, Zahir ritorna all’El Jaish. Continua a non essere pagato, così decide di denunciare la situazione. La dirigenza del club, indispettita, decide di bloccare il giocatore in Qatar, avvalendosi della Kafala, una normativa che impedisce ai lavoratori di lasciare il Paese senza l’autorizzazione dei propri datori di lavoro.
Belounis, così, rimane per più di due anni ostaggio in Qatar, insieme alla moglie e alle due figlie. Pensa più volta al suicidio e si rifugia nell’alcol. La FIFA – che aveva già assegnato al Paese del Golfo il Mondiale 2022 – non muove un dito, ma il giocatore riceve solidarietà da tante personalità nel mondo del calcio, tra cui Arsene Wenger e Gary Lineker.
Così, il suo caso arriva alla FIFPro, la federazione internazionale dei calciatori professionisti, che inizia un braccio di ferro con la Qatar Football Association. Finalmente il 28 novembre 2013 ottiene il visto e torna in Francia. All’aeroporto Charles de Gaulle lo attendono la madre e tanti giornalisti: “Sono felice di essere tornato e spero di riprendere la mia vita come una persona normale. Ma non è la fine della mia battaglia contro il Qatar e le sue leggi disumane”.
Per Belounis l’incubo è finito, ma nel Paese che nel 2022 ospiterà la Coppa del Mondo la Kafala è ancora in vigore. E, a fargli compagnia, ci sono anche Arabia Saudita, Emirati Arabi, Libano, Bahrain, Iraq, Giordania, Kuwait e Oman.
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Nell’albo dei pubblicisti dal 2013, ha scritto un eBook sui reporter di guerra e conseguito due lauree. A Catania si è innamorato del giornalismo sportivo; a Londra si è tolto la soddisfazione di collaborare per il Guardian e il Daily Mail. Esperto di digital marketing e amante dei social media, nel 2017 ha deciso di tornare a collaborare con VdC di cui era già stato volto e firma nel 2012-2013.