Uno stoico, immenso, infinito Rafael Nadal batte al termine di una finale a cardio palma Daniil Medvedev, conquistando il secondo Australian Open della sua carriera. Il ventunesimo, in totale, Grand Slam di un giocatore sempre più leggenda di questo meraviglioso sport. Nessuno come lui: nemmeno Roger Federer e Novak Djokovic fermi a quota venti.
Una partita clamorosa, un susseguirsi di emozioni e colpi di scena per certi versi unici. Una qualità del gioco elevatissima. Tanti i vincenti e gli scambi interminabili. Una voglia di non mollare alcun punto, neanche quando sei sotto di due set (Nadal) o quando al quinto ti vengono i crampi (Medvedev), Una e grinta e determinazione, in entrambi i lati del campo, che consegna quest’incontro ai posteri.
Il russo, numero 2 al mondo, parte subito forte e domina il primo parziale aggiudicandoselo per 6 giochi a 2 in appena quaranta minuti. Tanti, i vincenti messi a segno da Dani quanti, gli errori di Rafa.
Nel secondo set, la qualità dei colpi dello spagnolo sale e riesce a “brekkare” il vincitore in carica dell’ultimo Us Open, andando a servire sul cinque a tre per portare il match di nuovo in parità. Il maiorchino, però, non sfrutta il set point a disposizione e si fa strappare il servizio. Anche al tie-break, lo spagnolo non riesce a concretizzare il vantaggio di cinque punti a tre subendo una striscia di quattro punti consecutivi con i quali Medvedev si aggiudica il parziale (7-6).
Sotto di due set, due ore e quindici minuti di gioco e sfavorito già prima dell’inizio, l’ipotesi di una rimonta era pressoché impossibile. Ma questo aggettivo, per campioni di quel calibro, non esiste. La battaglia si fa intensa pure nel terzo set e Nadal non ha intenzione di lasciare il campo senza prima aver dato tutto tutto. Sotto per due giochi a tre ma con il servizio a disposizione, rimonta da 0-40 portando a casa un game che lo sblocca mentalmente. Sul quattro pari, arriva il break che lo porta a servire per il parziale e questa volta non sbaglia. 6-4 per il numero 5 al mondo.
A questo punto bisognava capire, se fosse soltanto la reazione di un guerriero mai domo o se l’inizio di un qualcosa di inimmaginabile. Scegliete pure la seconda, perché il nativo di Manacor trova energie da fonti sconosciute pure a lui e conquista il quarto set sempre con il punteggio di 6-4.
Due set pari dopo quattro ore e dodici di gioco. Oltre ad essere una questione fisica, diventa soprattutto una partita mentale. Chi ha più forze in entrambi i punti di vista riuscirà ad avere la meglio. L’impressione, è che Nadal rispetto ai primi due set riesca ad essere più incisivo. Non solo con il dritto ma anche con il rovescio (lungolinea).
Così, sul punteggio di due set e due giochi pari, riesce a strappare il servizio al russo. Tiene il suo nel game successivo annullando palle break, arrivando fino al momento in cui serve per il match/torneo sul cinque a quattro. In quel decimo game, parte bene ma sul 30-0 si va vivo un ospite indesiderato: il famoso “braccino del tennista“. Medvedev se ne approfitta e vince i successivi quattro punti. Partita di nuovo in parità: cinque pari. Qui, però, esce fuori l’esperienza di aver giocato altre volte finali del genere e Rafa (sfruttando alcuni errori del suo avversario) si offre la nuova chance di servire per il torneo sul 6-5.
Questa volta, il braccio non trema e la testa non fa brutti scherzi. Tiene il suo game di battuta a zero e si impone in rimonta per 3 set a 2, dopo 5 ore e 24 minuti, con il punteggio di 2-6; 6-7; 6-4; 6-4; 7-5.
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Sembrava che Rafael Nadal, mandato in terra dagli dei del tennis, avesse già dato a questo sport tutto quello che aveva da offrire. Ma in realtà, mancava la cosiddetta ciliegina sulla torta: la partita che non si scorderà mai nel resto della sua vita. Prima di oggi, nessuno era riuscito a conquistare la finale di un Grand Slam, partendo da due set di svantaggio. E dire, che qualche mese fa stava addirittura pensando al ritiro dopo un intervento chirurgico al piede per risolvere la sindrome di Muller-Weiss.
Oggi, Medvedev si giocava il posto di numero uno al mondo (rimasto a Djokovic) ma Rafa come: un capo-popolo, si è lasciato trasportare dall’amore e dal tifo della Rod Laver Arena. Facendo segno di smettere, quando il pubblico poteva risultare irrispettoso nei confronti dell’avversario; incitandolo, al termine dei tanti punti spettacolari e importanti vinti. Come un esploratore, è arrivato in nuovo territorio ancora inesplorato: non l’Australia, ma quello dei ventuno Grand Slam. Come un eroe, è stato protagonista di un’impresa che per tutti gli altri poteva risultare impossibile. Come un uomo, stremato, al termine della partita si è lasciato andare in un pianto di gioia e commozione.
Dalla finale del 2012 persa in quasi sei ore contro Nole alla finale di oggi. Il riscatto del campione. Il riscatto di colui che oggi è diventato, una volta per tutte, leggenda.
Fonte foto: Australian Open
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Giuseppe, classe 1999, aspirante giornalista, è laureato in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali) ma, fin da piccolo, è appassionato di sport e giornalismo.
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