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Steven Bradbury: la vera storia dietro un successo sminuito
16 Febbraio 2022
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Steven Bradbury: la vera storia dietro un successo sminuito

Home » Voci di Sport » Personaggi » Steven Bradbury: la vera storia dietro un successo sminuito

La storia di Steven Bradbury è ormai leggenda. In molti la conoscono, in pochi la ignorano. Poco meno di un minuto e mezzo, questo il tempo segnato dal pattinatore australiano il 16 febbraio 2002 alle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City, in cui conquistò quello che ad oggi viene ricordato e raccontato come il trionfo più assurdo e rocambolesco della storia dello sport. Un oro che vi descriveremo più tardi, non prima, però, di raccontare il profondo dramma umano e professionale che Bradbury subì negli anni precedenti.

Classe 1973, nato a Sydney. Il giovane Steven brucia le tappe velocemente e fa incetta di buoni risultati. A 18 anni, ai Campionati Mondiali di Short Track (disputati proprio a Sydney), Bradbury pattina sui 5000 metri nella staffetta e vince un’incredibile medaglia d’oro. Corre il 1991 e sembra l’inizio della carriera da campione di questo sport. 2 anni dopo, sempre nella stessa specialità, vince il bronzo a Pechino, nel 1994 è argento a Guildford per i mondiali. Ai Giochi Olimpici di Lillehammer il primo successo olimpico sul gradino più basso del podio. 4 medaglie da mille e una notte per un ragazzo di appena 21 anni.

Coppa del Mondo, Montreal. Bradbury vuole continuare a vincere e in una prova mondiale sui 1500 individuali vuole il riscatto da un ottavo posto sui 1000. L’australiano impatta sul ghiaccio con Vuillermin, la lama di quest’ultimo entra nella gamba di Bradbury e il sangue inonda la pista. Esito nefasto: taglio dell’arteria femorale. L’immediatezza dei soccorsi salvano Steven, che lotta tra la vita e la morte dopo aver perso oltre quattro litri di sangue.

Sopravvive, ma da lì inizierà una riabilitazione lunghissima. La gamba perde tono, il corpo deve trovare un nuovo equilibrio. 111 punti di sutura sono troppi anche per il più caparbio degli atleti: Bradbury sa che la sua carriera non sarà mai al livello delle annate precedenti. Ha solo 22 anni alla fine di quel calvario durato 18 mesi e a dispetto di tutto decide di lavorare per tornare, quanto meno, a gareggiare. L’Australia non produce chissà quali talenti nello short track e dunque l’eroe di questa storia riesce a conservare un posto in nazionale. E nel ’98, ai Giochi Olimpici giapponesi torna a competere a grandi livelli, strappando un ottavo posto in staffetta come risultato migliore.

La salita non è certo finita e si punta alle Olimpiadi del 2002. Ma nel 2000 arriva il secondo grave infortunio della propria breve carriera. Seduta d’allenamento, grave caduta: frattura di due vertebre nella zona alta. Due mesi lontano dalle piste, un’altra lunga riabilitazione, ma riesce in tempo a iscriversi per i giochi di Salt Lake City.

E così torniamo al grande evento che oggi compie 20 anni: la finale dei 1000 metri di Short Track. In cui non parte tra i favoriti, ma vuole l’ultima ebrezza della sua carriera. Supera i primi turni e si presenta ai quarti in grande difficoltà. Bradbury arriva terzo dietro al fenomeno della nuova generazione Apolo Ohno e Marc Gagnon, campionissimo durante gli anni 90. Proprio quest’ultimo viene incredibilmente squalificato: si aprono le porte delle semifinali. Altra sfida impossibile, altra incredibile storia: è in ultima posizione ma durante l’ultimo giro cadono Kim Dong-Sung, Mathieu Turcotte e Li Jiajun, specialisti della categoria. Satoru Terao viene invece squalificato. Bradbury accede incredulo alla finalissima.

Qui le speranze si affievoliscono ancor di più. E infatti il destino sembra segnato per l’ultimo grande evento. Sarebbe un successo comunque vada, vista la sua storia. Ma all’ultima curva succede l’impensabile: Jiajun, incontrato già nelle semifinali cade durante l’ultimo giro nel tentativo disperato di superare Ohno, il grande favorito. Quest’ultimo perde l’equilibrio e trascina con sè anche gli altri due che erano in bagarre: Turcotte e Hyun-Soo. Bradbury occupava anche questa occasione l’ultima posizione, staccato di qualche metro dai primi 4. Ancor più incredulo di quanto accaduto nelle semifinali taglia il traguardo davanti a Ohno e Turcotte: è medaglia d’oro.

Da lì la gloria: diventa il simbolo delle olimpiadi invernali del 2002, beniamino di migliaia di tifosi. In Australia e nei paesi anglofoni nasce pure un modo di dire: “doing a Bradbury“, per indicare un successo clamoroso su cui nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Avete presente la celebre vittoria in Premier League del Leicester? Ranieri & co., per capirci, fecero un “Bradbury“.

Come annunciato già prima dei giochi, l’australiano appenderà gli scarpini al chiodo a soli 29 anni, per godersi la fama nelle vesti di commentatore sportivo. Fecero clamore le sue parole successive al più incredibile successo della storia dello sport. “Non ero certamente il più veloce, ma non penso di aver vinto la medaglia col minuto e mezzo della gara. L’ho vinta dopo un decennio di calvario“.

Qualche anno più tardi, in un commento a mente fredda sulla finale dirà: “Mi piace rivedere lo sguardo sul mio viso quando ho superato il traguardo. Ma non mi piace davvero guardarmi pattinare in quella gara: è stata la peggiore che ho fatto quella notte. Quando sono arrivato in finale sapevo di essere l’atleta più anziano rimasto in gioco ed ero abbastanza certo che non avrei avuto grandi possibilità ancor prima che iniziasse. C’era grande competitività, il rischio di cadute era altissimo. Per questo motivo ho adottato in finale una tattica di gara particolare, attendista, perché non pensavo davvero di poter competere nessuno di quei ragazzini“.

Da quel momento, come già detto arrivano fama e gloria: “So perfettamente di essere probabilmente la medaglia d’oro olimpica individuale più fortunata della storia ma questo non cambia il fatto che sono stato io a capitalizzare quando tutti hanno commesso degli errori. Mi sono sempre allenato fino allo sfinimento, ho partecipato a quattro Olimpiadi ma non ho mai guadagnato un centesimo da questo sport. Ho sempre vissuto con pochi soldi e non ne avevo abbastanza nemmeno per riparare la mia macchina, prima delle Olimpiadi di Salt Lake“.

Una storia diventata celebre in Italia tra il grande pubblico grazie anche alla trasmissione Mai dire Goal, che commentò le ultime manche della competizione con fare ironico e scherzoso. Ma la carriera di Steven Bradbury dice di più. La fortuna non mancò e sarebbe ipocrita dire il contrario, ma ogni volta che penserete al primo atleta dell’emisfero australe a vincere l’oro in un olimpiade invernale, non focalizzatevi solo su quelle fortunose cadute, ma anche all’inizio di carriera brillante, spezzato da due infortuni che avrebbero steso chiunque.

Perché nella vita conta quante volte ti rialzi. E prima o poi il destino avrà un occhio di riguardo anche per te.

Francesco Mascali

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Francesco Mascali

About Francesco Mascali

Proprietario, editore e vice direttore di Voci di Città, nasce a Catania nel 1997. Da aprile 2019 è un giornalista pubblicista iscritto regolarmente all’albo professionale, esattamente due anni dopo consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza, per poi iniziare la pratica forense presso l’ordine degli avvocati di Catania. Ama viaggiare, immergersi nelle serie tv e fotografare, ma sopra tutto e tutti c’è lo sport: che sia calcio, basket, MotoGP o Formula 1 non importa, il week-end è qualcosa di sacro e intoccabile. Tra uno spazio e l’altro trova anche il modo di scrivere e gestire un piccolo giornale che ha tanta voglia di crescere. La sua frase? «La vita è quella cosa che accade mentre sei impegnato a fare altri progetti»

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