Sono le quattro e ventidue di notte in Italia, le dieci e ventidue di sera a New York, quando Ajla Tomljanovic (dopo tre ore e passa di partita) batte, al terzo turno dell’Us Open, Serena Williams.
La tennista americana, guardando l’orologio allacciato sopra al polsino (con cui ha giocato rigorosamente tutto il torneo), sa benissimo che è arrivato quel momento di cui si è tanto parlato nelle ultime settimane. Sa benissimo che, quello mandato in rete pochi secondi prima, è l’ultimo dritto della sua immensa e leggendaria carriera.
Alzando lo sguardo, vede un “Arthur Ashe Stadium” completamente pieno. Scrosciante. Emozionato. Contento di aver assistito ad un match che, comunque sia, significa la fine di un’era. Lo stadio da tennis più grande del mondo si è, infatti, riempito fino al tetto per assistere all’ultimo ballo (“The Last Dance“) di colei che ha sempre guardato tutti e tutte dall’alto.
Il suo addio non è un fulmine a ciel sereno. Negli ultimi tempi, viste e considerate le rarissime apparizioni nel circuito, si intuiva che fosse solo questione di tempo. E l’intervista rilasciata, qualche settimana fa, al magazine Vogue ha chiarito tutto.
In Vogue’s September issue, @serenawilliams prepares to say farewell to tennis on her own terms and in her own words. “It’s the hardest thing that I could ever imagine,” she says. “I don’t want it to be over, but at the same time I’m ready for what’s next” https://t.co/6Zr0UXVTH1 pic.twitter.com/YtGtcc18a9
— Vogue Magazine (@voguemagazine) August 9, 2022
“Non mi piace la parola ritiro ma sono qui per dirvi che mi allontanerò dal tennis.
Forse la miglior parola per descrivere quello che mi sta accadendo è EVOLUZIONE. Mi sto evolvendo lontano dal tennis verso altre cose che sono importanti per me. Qualche anno fa ho messo sù famiglia. Io voglio far crescere quella famiglia. Non vorrei che finisse ma sono pronta per ciò che verrà.
Questa è la fine di una storia iniziata a Compton, in California, con una ragazzina di colore che voleva solo giocare a tennis.
Questo sport mi ha dato tanto. Mentirei se dicessi che non voglia il record (di Grand Slams vinti). Sono passata da un taglio cesareo a una finale del Grande Slam. Ho giocato mentre allattavo. Ho giocato con la depressione postparto. Ma non ci sono arrivata. Avrei dovuto, avrei voluto, avrei potuto. Non mi sono presentata nel modo in cui avrei dovuto o potuto.
Ma (in totale) mi sono presentata 23 volte e va bene. In realtà, è straordinario.
Mi piace pensare che grazie a me le atlete donne possano essere sé stesse. Possano giocare con aggressività, possano indossare quello che vogliono e dire quello che vogliono ed essere orgogliose di tutto ciò”.
Per descrivere quello che è stato l’ultimo match in carriera di Serena Williams, basta una sola parola: EMOZIONE.
Emozione per chi era in campo…sugli spalti…nell’angolo delle due giocatrici…fuori dallo stadio…a casa a guardare la partita.
Sul vocabolario, per definire meglio questo termine scrivono: “Improvviso e forte turbamento provocato da commozione o da apprensione“.
Ecco, possiamo tranquillamente affermare che la campionessa americana è passata da entrambi gli stati d’animo.
“Apprensione“, perché non è facile giocare con il macigno che, in caso di sconfitta, quella possa essere la tua ultima apparizione professionistica su un campo da gioco.
Una strana e inquietante sensazione che nel mondo del tennis equivale spesso al famoso “braccino“.
D’altronde, come non spiegare, tramite i termini “apprensione” o “braccino”, il fatto che nel primo set la Williams, avanti per 5 giochi a 3, si sia fatta rimontare perdendo il parziale 7-5?
Come non spiegare, tramite i termini “apprensione” o “braccino”, il fatto che anche nel secondo set, con l’eroina di casa avanti per 5 giochi a 2, si sia dovuto arrivare addirittura al tie-break? (In quest’ultimo, però, è venuta fuori per l’ultima volta tutta la classe dell’americana che è riuscita ad aggiudicarsi il parziale 6-7).
Nel terzo e decisivo set, le energie residue erano davvero poche. Dopo aver strappato il servizio all’avversaria nel primo gioco, la luce si è spenta. Mentre Ajla Tomljanovic (ex fidanzata, tra l’altro, di Matteo Berrettini) infilava games in fila, lo sguardo di Serena iniziava a diventare sempre più buio. E gli occhi diventavano sempre più lucidi.
Sul risultato di 5-1 per la tennista australiana che serviva per aggiudicarsi l’incontro, l’ultimo sussulto di orgoglio. Cinque match point annullati con una caparbietà e determinazione che hanno fatto balzare in piedi tutto l’Arthur Ashe. Ma in ogni cosa c’è un inizio e c’è una fine. E quel dritto mandato in mezzo alla rete, decreta la fine del set (6-1), del match e della carriera di una campionessa che, forse per la prima volta, abbiamo visto anche commossa.
Tanto si sa, anche la “Commozione” fa parte dell’emozione. E nell’intervista post-partita, al momento di ringraziare mamma Oracene (sempre al suo fianco), papà Richard (a casa, colpito da una malattia degenerativa che non gli ha tolto il piacere di vedere in tv l’ultima partita della sua “bambina” cui quotidianamente si sente al telefono), la sorella Venus (“la mia roccia, la persona senza la quale non sarebbe esistita Serena Williams“), sono scese giù tutte quelle lacrime che già da qualche minuto cercava di trattenere.
Immaginiamo che il sapore sia amaro perché è sempre difficile dire addio ma anche dolce perché, quella ragazzina partita dalla California che voleva semplicemente giocare a tennis, nell’arco della sua carriera ha conquistato tutto quello che c’era da conquistare.
Quello di Serena Williams è stata un viaggio lungo. Lunghissimo. Iniziato nel 1997 e vissuto, prima, da protagonista insieme alla sorella Venus e, poi, da regina assoluta con 23 titoli dei Grand Slam, 73 tornei WTA e 319 settimane in vetta alla classifica mondiale. A 40 anni, quasi 41, è comprensibile abdicare.
Inutile domandarsi se sia o meno la più grande di sempre. Sicuramente, è una delle tenniste più grandi e più forti di tutti i tempi. Quella che, negli ultimi venticinque anni, ha cambiato il modo di giocare a tennis. Un punto di riferimento per le tante bambine diventate tenniste che si ritrovava puntualmente dall’altro lato della rete. Ma anche per le tante atlete donne che hanno guardato lei come modello da seguire.
In qualsiasi sport, la domanda “chi è il/la migliore di sempre?” lascia sempre il tempo che trova. Mentre lei esce dall’Arthur Ashe Stadium con in sottofondo “Simply The Best” di Tina Turner, a noi piace rispondere che è semplicemente stata Serena!
What a week. What an evening.
Thank you, #Serena. pic.twitter.com/KJ1zDkQGUs
— US Open Tennis (@usopen) September 3, 2022
Fonte foto: Us Open
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Giuseppe, classe 1999, aspirante giornalista, è laureato in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali) ma, fin da piccolo, è appassionato di sport e giornalismo.
Simpatiche, si fa per dire, le scene di quando ancora bambino si sedeva nel bar del padre e leggeva la Gazzetta dello Sport “come quelli grandi“.
Entrato a far parte di Voci di Città, prima, come tirocinante universitario e, poi, come scrittore nella redazione generalista e sportiva, con il passare del tempo è diventato uno dei due Coordinatori della Redazione. Oltre a far da Tutor per Tirocinanti e a svolgere il ruolo di Correttore di Bozze, al termine di ogni giornata di campionato cura personalmente la rubrica “Serie A, top&flop”. Un modo originale, con protagonisti i giocatori che si sono distinti in bene e in male, per vedere tutto quello che è successo nel fine settimana di calcio italiano.
Inoltre, coordina la squadra di Calciomercato, Europei e Mondiali. Scrive di tennis (il suo sport preferito, dopo il calcio) e NBA (non si contano più le notti passate in bianco per vedere le partite live). Infine, si occupa anche delle breaking news che concernono i temi più svariati: dallo sport all’attualità, dalla politica alle (ahinoi) guerre, passando per le storie più importanti e centrali del momento.
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