Lo scudetto appena conquistato dall’Inter, a 11 anni dall’ultimo storico tricolore (quello del triplete, tra l’altro), ha portato molti nomi in vetrina. Impossibile non menzionare quello di Conte, che tra mille contraddizioni e polemiche verrà comunque ricordato per aver ridato competitività all’Inter. Una finale europea e un campionato. Ricordando che durante la gestione precedente si lottava a stento per l’ultimo posto in Champions. Come non menzionare poi i giocatori: Lukaku e Lautaro, il duo delle meraviglie, Barella, forse il futuro capitano della nuova Inter, passando per il triumvirato difensivo e Handanovic, che finalmente alza il primo trofeo in nerazzurro. Passa un po’ in sordina, però, un nome su tutti: quello di Giuseppe Marotta. Il dirigente varesino, visti anche i risultati recenti della Juventus, sembra essere il vero ago della bilancia di questa Serie A.
Ma facciamo un passo indietro all’autunno 2018. La Juventus viene da ben quattro doblete consecutivi nonché una credibilità europea ben consolidata. La formazione di Max Allegri dà la sensazione di potersela giocare alla pari con le migliori formazioni del vecchio continente. Inoltre, proprio in quei mesi, i bianconeri sono sotto i riflettori per quello che (ai tempi) viene definito “l’acquisto del secolo”: CR7. Dai parametri zero al giocatore più forte al mondo. Ai tempi il portoghese era la stella dei galacticos. Ed essere l’attore protagonista di un film come quello delle 3 Champions consecutive, è tutto dire.
Marotta, dunque, nel giro di sole 3 sessioni estive di mercato mette a segno la cessione più onerosa al mondo (quella di Pogba allo United, superata poi nel 2017 da Neymar) e l’acquisto più costoso del calcio italiano. Sembra l’inizio di una nuova scalata. La discesa, in realtà, è dietro l’angolo.
29 settembre 2018: come un fulmine a ciel sereno, Marotta annuncia che non sarà più l’a.d. dei bianconeri. Voci di corridoio lo vorrebbero scontento di un investimento così pesante come quello del portoghese per le casse del club. Oltre a questo, pare che il vero punto di non ritorno sia stato toccato nello scambio tra Juve e Milan che ha riportato a Torino Bonucci per i partenti Caldara (su cui il dirigente puntava molto) e Higuain (pagato 90 milioni e lasciato andare per 18 di prestito oneroso e 36 di riscatto). Un’operazione dettata sempre dall’arrivo di Ronaldo, che ha messo alle porte l’argentino, artefice del sudato scudetto del 2018. Quell’intreccio di mercato metterà il punto sulla carriera di Gonzalo, fino a qualche mese fa decisivo su ogni fronte.
Si fa trovare alle porte l’Inter, che nel dicembre dello stesso anno annuncia di aver ingaggiato il dirigente ex Samp. Da quel momento si tracceranno due linee parallele che porteranno allo scudetto nerazzurro di oggi e, soprattutto, al tracollo bianconero degli ultimi mesi. Ma andiamo con ordine.
I nerazzurri hanno fame di rinascita e tutto passa dalla seconda qualificazione in Champions consecutiva. Spalletti a fine stagione centra l’impresa, mentre Marotta stravolge la rosa nerazzurra per tornare competitivi sin da subito. Vengono messi subito alla porta Miranda, Joao Mario, Nainggolan e il capitano esautorato Mauro Icardi. Via anche alcuni esuberi come Dalbert, Karamoh, Keita Balde, Longo, Pinamonti e Puscas. Dentro invece Barella, Sanchez, Godin e Lukaku. Quest’ultimo diventa l’acquisto più oneroso della società neroazzurra, mentre il cileno sbarca a Milano grazie a un vero e proprio miracolo economico “alla Marotta”.
Estate 2019: la guida tecnica viene affidata ad Antonio Conte, uomo simbolo della rinascita juventina architettata dallo stesso AD. Al primo anno si registra un miglioramento su tutti i fronti: secondo posto in campionato (miglior risultato dal 2011), semifinale di Coppa Italia e finale di Europa League (22 anni dopo l’ultima e 10 anni dopo l’ultima finale continentale). Ma non è abbastanza. Via ulteriori peso come Asamoah, Godin (, Borja Valero e Candreva. Rientra alla base il campione d’Europa in carica Perisic, arrivano Darmian e Kolarov ad allungare la rosa mentre Hakimi e (teoricamente) Vidal sono i pezzi da 90. Il messaggio è chiaro: si punta allo scudetto.
Nel frattempo, sponda Juve, il declino si manifesta anno dopo anno. Nel 2019 Allegri saluta i bianconeri con un altro scudetto nel sacco, consapevole però di aver mancato il grande appuntamento europeo: battendo l’Ajax ai quarti di finali le rimanenti sarebbero state Barcellona, Liverpool (formazioni ballerine difensivamente, come dimostrato in semifinale) e il modesto Tottenham. Il colpo grosso era alla portata, molto più che nel 2015 e nel 2017.
Al suo posto arriva Sarri, che non metterà in atto la rivoluzione tecnica tanto sperata. Nel frattempo lasciano Torino Spinazzola, Cancelo, Emre Can e Mandzukic (tutti colpi messi a segno proprio da Marotta) per fare spazio a Danilo, Demiral, Rabiot, Ramsey e De Ligt. Non senza qualche difficoltà il tricolore arriva anche nell’anno del Covid. Ma la sconfitta in finale di Coppa Italia e soprattutto l’eliminazione in Champions contro il modesto Lione costano caro al tecnico toscano.
Con grande sorpresa di addetti ai lavori e non, la panchina bianconera viene affidata ad Andrea Pirlo, esordiente nei panni dell’allenatore. Nonostante dei nuovi innesti solo De Ligt sembra essersi immerso totalmente nell’universo bianconero, Paratici persegue la sua personale rivoluzione, ultimandola. Via dunque De Sciglio, Rugani, Matuidi, Khedira, Pjanic, Costa e Higuain, dentro Arthur, Chiesa, Kulusevski, McKennie e Morata. L’attaccante spagnolo, all’indomani dello scandalo Suarez sembra più un ripiego che un reale volere di Pirlo, mentre Chiesa e McKennie sono stati sicuramente la piacevole sorpresa di quest’ultima stagione. Parecchie polemiche invece sembrano contornare Arthur, apparentemente fragile e ancora non a suo agio nel centrocampo bianconero.
Su Kulusevski va fatto un discorso strettamente legato a un’altra (mancata) operazione di mercato.
Lo svedese ex Parma, infatti, era in ballottaggio con Erling Haaland, in forza al Borussia Dortmund. Il giocatore che al momento divide il palcoscenico mondiale con Mbappè. A fine 2019 sembrava cosa fatta l’ingaggio del danese alla Juventus, bloccata poi dall’agente del calciatore, Mino Raiola, che commentò senza pochi giri di parole: “Haaland? Alla Juve me lo avrebbero fatto giocare nella squadra Under 23…”. L’offerta accettata fu quella del Borussia Dortmund: 45 milioni alle casse del Salisburgo per una cessione già formalizzata il 29 dicembre 2019. Il 2 gennaio 2020 arriva la risposta della Juve: 44 milioni versati nelle casse dell’Atalanta per lo svedese. Il primo sta facendo le fortune del muro giallo e viene valutato tra i 120 e i 130 milioni di euro. Il secondo fa fatica a integrarsi nel contesto di una big italiana e la valutazione sembra addirittura scesa da quella di un anno e mezzo fa. Qui le responsabilità di Paratici sembrano palesi.
Ma se le operazioni di mercato non sorridono ai bianconeri, il peggio arriva in campo. Dopo un’ottima prima fase di stagione l’idea di gioco di Pirlo fatica a imporsi portando risultati deludenti nei mesi cruciali del 2021. L’attuale posizione in campionato dopo il dominio incontrastato degli ultimi 9 campionati potrebbe far storcere più di qualche naso, ma è l’ennesima eliminazione in Champions contro un’altra formazione modesta (stavolta il Porto) a mettere in discussione l’intero operato del dirigente juventino.
Credere che sia l’acquisto di un fuoriclasse come Ronaldo (capace di mettere a segno 79 goal in 94 partite) ad aver tarpato le ali alla Juventus è quanto mai ingenuo e semplicistico. Sembra invece che il progetto dell’ex spalla di Marotta sia letteralmente naufragato nell’intero contesto costruito attorno al portoghese. Guide tecniche non all’altezza della precedente, giocatori non ancora pronti per una big europea o, comunque, non avvezzi al mondo Juventus. Fino, poi, alle errate valutazioni su parametri zero (Ramsey e Rabiot, con 7 milioni annui d’ingaggio ciascuno) e giovani promesse, che possono creare fortune (vedesi gestione Marotta), quanto disgrazie (il già citato Kulusevski).
Proprio nel primo anno in cui la Juventus perde il primato italiano, sembra quasi naturale che sia l’Inter di Conte e Marotta (l’Inter degli Juventini, come definita da Lichtsteiner) a cucirsi addosso il tricolore tanto agognato. +13 sul secondo posto, 74 goal fatti, solo 29 subiti. Una squadra solida, forte, vincente. Guidata dall’artefice delle migliori rinascite calcistiche (la Juve dal settimo al primo posto nel 2012, l’Italia dalle delusioni mondiali ai quarti a Euro 2016, il Chelsea dal decimo posto alla premier nel 2017 e ora l’Inter) e gestita da un mago del calciomercato. Resta solo da chiedersi se questo sarà l’inizio di un ciclo o una pausa dal solito dominio juventino in Italia.
Nell’attesa della prossima stagione i tifosi interisti si coccolano meritatamente gli straordinari giocatori di questa splendida annata. Così come il loro allenatore, arrivato tra l’incredulità di tutti e oggi osannato dal suo nuovo popolo. Ma soprattutto Giuseppe Marotta, l’artefice della rivoluzione tecnica tanto auspicata e senza cui, probabilmente, questo trofeo sarebbe stato l’ennesimo sogno di mezza estate.
Francesco Mascali
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Proprietario, editore e vice direttore di Voci di Città, nasce a Catania nel 1997. Da aprile 2019 è un giornalista pubblicista iscritto regolarmente all’albo professionale, esattamente due anni dopo consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza, per poi iniziare la pratica forense presso l’ordine degli avvocati di Catania. Ama viaggiare, immergersi nelle serie tv e fotografare, ma sopra tutto e tutti c’è lo sport: che sia calcio, basket, MotoGP o Formula 1 non importa, il week-end è qualcosa di sacro e intoccabile. Tra uno spazio e l’altro trova anche il modo di scrivere e gestire un piccolo giornale che ha tanta voglia di crescere. La sua frase? «La vita è quella cosa che accade mentre sei impegnato a fare altri progetti»