Nella notte italiana, l’associazione giocatori ha accettato la proposta dei proprietari delle trenta franchigie di iniziare la stagione NBA 2020-2021 il prossimo 22 dicembre. Il via scatterà appena 71 giorni dopo la conclusione dell’annata 2019-2020: nella storia della lega cestistica più famosa al mondo e dello sport americano in generale, una stagione non è mai iniziata così poco tempo dopo la fine della precedente, conclusasi lo scorso 12 ottobre con l’ultima gara delle Finals tra Los Angeles Lakers e Miami Heat, con i primi capaci di vincere l’anello dopo dieci anni, agganciando a quota 17 gli eterni rivali dei Boston Celtics nella classifica delle squadre con più titoli vinti.
In America, nel frattempo, l’attenzione di tutti è rivolta al confronto tra Joe Biden e Donald Trump per la presidenza degli Stati Uniti, ma la notizia dell’ufficialità della ripartenza della pallacanestro NBA tra poco più di due mesi non può certo passare inosservata. Nei giorni scorsi, si era discusso a lungo circa la possibilità di far slittare la ripresa in occasione del Martin Luther King Day (18 gennaio), se non addirittura oltre (febbraio o marzo). L’ipotesi di ripartire prima di Natale, dunque, pareva a dir poco complicata, se non impossibile.
Iniziare la stagione dopo la fine del 2020 avrebbe potuto far perdere ulteriori guadagni alla NBA, che già nella stagione da poco conclusasi ha fatto registrare 1.5 miliardi di dollari in meno rispetto alle entrate previste, soprattutto a causa dell’incidente diplomatico con la Cina e della cancellazione di 171 partite di regular season a causa della pandemia di coronavirus. La ripresa della stagione a luglio a Disney World, nella bolla di Orlando architettata dal commissioner Adam Silver, ha impedito che la perdita arrivasse a toccare la spaventosa cifra di 3 miliardi, recuperando buona parte dei dollari che sarebbero andati perduti.
I giocatori potranno tornare ad allenarsi nelle palestre delle rispettive squadre a partire dal prossimo 1 dicembre. Dopo tre settimane di training camp, prenderà ufficialmente il via la stagione 2020-2021, in cui ogni squadra disputerà 72 partite di regular season, dieci in meno rispetto al solito. Si tratta della seconda volta consecutiva in cui non si giocheranno 82 gare a testa: non accadeva dal 1967 (70 nel 1965-1966 e 81 nel 1966-1967). Possibile anche la conferma del play-in tournament per stabilire l’ottava ed ultima classificata ai playoff: ad agosto scorso si affrontarono Portland Trail Blazers e Memphis Grizzlies a Ovest, mentre a Est l’elevato margine di vantaggio (7.5 gare) degli Orlando Magic sui Washington Wizards non rese necessaria una sfida tra le due squadre. La novità potrebbe essere l’estensione del play-in alla settima e alla decima in classifica, in modo da ampliare il torneo da due a quattro squadre e renderlo più interessante e competitivo, dando a più squadre la possibilità di lottare per un posto ai playoff.
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La decisione di fissare la prima palla a due stagionale al prossimo 22 dicembre permetterà alla NBA di evitare una perdita di almeno mezzo miliardo di dollari e ai giocatori di non rinunciare alla possibilità di prendere parte ai Giochi olimpici di Tokyo, che avrebbero dovuto svolgersi la scorsa estate, ma a causa del coronavirus sono stati rinviati di un anno (le Olimpiadi si terranno infatti dal 23 luglio all’8 agosto 2021). La NBPA (National Basketball Players Association, il sindacato dei giocatori NBA) ha accettato la data dopo un lungo tira e molla e nonostante gli imminenti quanto inevitabili decurtazioni degli stipendi.
Per i prossimi due anni, infatti, una parte dei guadagni dei giocatori (probabilmente il 18%, per una cifra totale che va dai 720 agli 800 milioni di dollari) verrà destinata ai proprietari delle franchigie, costretti a fare i conti con notevoli perdite negli ultimi mesi. Per intenderci, Stephen Curry, il giocatore più pagato della lega, vedrà il suo stipendio calare da poco più di 43 milioni a 35.3 milioni, LeBron James da 39.2 a 32.1, Chris Paul e Russell Westbrook da 41.3 a 33.9 e James Harden e John Wall da 41.2 a 33.8, solo alcuni dei contratti più elevati in una lista che comprende anche Kevin Durant (da 39 a 32) e Kawhi Leonard (da 34.3 a 28.2).
Tra i contratti di medio valore, quali ad esempio quelli di Draymond Green e Marcus Smart, il primo perderebbe circa quattro milioni di dollari (da 22.6 a 18.2) e il secondo passerebbe da poco meno di 13 a 10.6 milioni, mentre tra i giocatori che guadagnano il minimo salariale o poco più, Alex Caruso, Tyler Herro e Donovan Mitchell (questi ultimi due hanno ancora il contratto da rookie) perderebbero rispettivamente mezzo milione di dollari (da 2.7 milioni a 2.2), poco meno del secondo (da 3.8 a 3.1), mentre il terzo guadagnerebbe quasi un milione in meno (da 5.1 a 4.3).
Trovato l’accordo sulla data di inizio della prossima stagione e confermata anche quella del Draft (18 novembre), restano ancora alcune questioni da risolvere, tra cui quella legata all’inizio della free agency (i giocatori in scadenza avranno tempi molto ridotti per rinnovare con l’attuale franchigia di militanza o firmare con una nuova squadra, dato che la prima palla a due della stagione sarà tra poco più di un mese), ai termini economici del nuovo contratto collettivo di lavoro e alle già menzionate decurtazioni degli stipendi dei giocatori, che dovrebbero attestarsi attorno al 18%. Tutte le parti in causa sono state chiamate a delle piccole rinunce per salvaguardare un interesse comune, il tanto atteso ritorno in campo della NBA, per evitare di far sovrapporre la stagione 2020-2021 alle Olimpiadi di Tokyo e compromettere anche l’annata 2021-2022, in cui si dovrebbe tornare alla normalità, con l’inizio della regular season a metà-fine ottobre e i playoff da aprile a giugno.
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Nel 2016 consegue il diploma scientifico e in seguito si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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