Dietro al successo di Michael Jordan, spiegato al meglio nel celebre documentario The Last Dance, creato da ESPN e Netflix, che racconta la sua storia tra successi sportivi e vita privata, figurano molti personaggi fondamentali nell’ascesa del mito di MJ in campo e fuori. Tra questi, rientra a pieno titolo Larry Miller, attuale presidente del famosissimo marchio di abbigliamento Air Jordan.
Michael Jordan iniziò a collaborare con Nike nel 1984, ad appena 21 anni, firmando un contratto quinquennale da 500.000 dollari l’anno. Una partnership che ha fatto decisamente bene alla popolarità e alla partnership di entrambe le parti in causa, con Nike che è divenuta negli anni un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli appassionati di NBA e, al contempo, ha reso MJ l’atleta più ricco al mondo.
Nel frattempo, il sopracitato Larry Miller, approdato alla multinazionale nel 1997, ha scalato sempre più posizioni nell’azienda, fino a divenire uno dei manager di maggior successo negli Stati Uniti. Eppure, non tutto è oro quel che luccica. Se è vero che la carriera di Miller nel mondo degli affari è stata pressoché impeccabile (fu anche presidente dei Portland Trail Blazers, dal 1999 al 2006, e nel suo ufficio ha foto con numerose celebrità, tra cui l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama), è pur vero che c’è un’altra faccia della medaglia da analizzare, un peso enorme da sopportare con cui ha dovuto fare i conti per anni e anni, un segreto tenuto a lungo nascosto e rivelato soltanto recentemente.
Il 30 settembre 1965, quando aveva soltanto 16 anni, Larry Miller faceva parte della gang di Cedar Avenue e uccise a colpi di pistola Edward White, un ragazzo di 18 anni che non aveva nulla a che fare con il mondo criminale, che purtroppo inghiotte molti giovani in America, non necessariamente poveri e privi di istruzione. Dopo aver scontato la detenzione, il noto imprenditore, allora 30enne, riuscì a cambiare vita, a conseguire una laurea alla Temple University di Philadelphia, sua città natale, e a diventare un businessman di successo.
La sua scalata dalla Kraft alla Nike, passando per la Campbell’s, non conobbe sosta e lui nel frattempo non rivelò a nessuno quel poco edificante episodio che avrebbe potuto macchiargli la reputazione e impedirgli di fare carriera. Soltanto la sua figlia maggiore, Laila Lacy, era a conoscenza dell’omicidio commesso dal padre, che le rivelò il segreto a 38 anni di distanza, nel 2003.
Miller ha reso pubblica la cosa nel corso di un’intervista rilasciata alla celebre rivista Sports Illustrated, annunciando inoltre l’uscita della sua biografia, “Jump: My Secret Journey from the Streets to the Boardroom”, scritta a quattro mani con la figlia Laila Lacy, in programma il prossimo anno. Il 72enne, inoltre, ha rivelato di non essere mai riuscito a superare il triste episodio, che gli ha inevitabilmente cambiato la vita, portandolo ad avere incubi e problemi di salute che lo hanno fatto ricoverare più volte in ospedale.
“Mi sono occorsi anni per capire la gravità di ciò che avevo fatto. La cosa peggiore è che non c’era alcun motivo, perché quel ragazzo non aveva nulla a che vedere con quella storia. Per anni ho fatto finta di nulla, tenendo nascosto a tutti il mio orribile segreto, sperando che nessuno venisse a saperlo.”, ha rivelato Larry Miller nell’intervista, mettendo in evidenza un aspetto emblematico: cambiare è possibile, perché “un errore, anche il peggiore, non può controllare quel che accadrà nelle nostre vite”.
“Spero che la mia storia sia fonte d’ispirazione per chiunque sia stato in galera e abbia voglia di riscattarsi. Penso ogni giorno a quello che ho fatto e credo che parlarne apertamente mi abbia fatto bene.”, la chiosa dell’imprenditore della Pennsylvania, che ha reso noto di non avere più incubi e problemi di salute da quando ha avuto il coraggio di raccontare l’accaduto e ha sottolineato l’importanza del garantire a tutti i detenuti la possibilità di riscattarsi e superare i momenti più bui.
Dennis Izzo
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