Una delle favole più belle della pallacanestro NBA moderna potrebbe avere un epilogo tutt’altro che lieto: Derrick Rose starebbe valutando la possibilità di ritirarsi dal basket professionistico. 29 anni compiuti lo scorso 4 ottobre, il playmaker di Chicago era ripartito dai Cleveland Cavaliers, firmando un contratto di un anno al minimo salariale e rimettendosi in discussione nella contender dell’Ohio, rappresentando una valida alternativa a disposizione di coach Tyronn Lue. Delle diciannove partite fin qui disputate dai suoi Cavs, però, l’ex Chicago Bulls e New York Knicks ne ha giocate appena sette, riuscendo anche a mostrare a sprazzi il meglio del suo repertorio. Per comprendere al meglio l’impatto che avrebbe una decisione, quella del ritiro, che nessun amante di questo sport si augura che si concretizzi, è necessario riavvolgere il nastro e tornare indietro di qualche anno, più precisamente al 2008.
Il 26 giugno, in un gremito Madison Square Garden di New York, si tiene il Draft NBA, in cui i Chicago Bulls selezionano con la prima scelta assoluta Derrick Rose, playmaker nativo proprio di Chicago che si era messo in luce al college con i Memphis Tigers, indossando la maglia numero 23 in onore di un certo Michael Jordan, la leggendaria guardia dei Bulls che vinse sei anelli e cinque MVP nell’Illinois. Il destino di questo promettente talento sembra già segnato: al termine della regular season, infatti, viene premiato con il Rookie of the Year, riconoscimento che nel 1984-1985 fu assegnato proprio a Michael Jordan, quindi dà un enorme contributo ai suoi Bulls nei playoff, non riuscendo però ad evitare la sconfitta per 4-3 con i Boston Celtics al primo turno. In gara-1 al TD Garden, D-Rose sfodera una prestazione a dir poco eccezionale, trascinando Chicago al successo con 36 punti, 11 assist e 4 rimbalzi, eguagliando Kareem Abdul-Jabbar per ciò che concerne i punti realizzati da una matricola al debutto nei playoff. L’anno successivo lo scenario non cambia, con i Bulls eliminati ancora una volta al primo turno, stavolta dai Cleveland Cavaliers di LeBron James (4-1), ma è nel 2010-2011 che Derrick Rose si afferma definitivamente sul palcoscenico della NBA.
Il classe ’88, infatti, migliora tutte le sue statistiche (punti, assist, rimbalzi, percentuale ai tiri liberi e da tre punti) e permette ai Chicago Bulls di piazzarsi al primo posto della Eastern Conference con ben 62 vittorie e appena 20 sconfitte, traguardo che i tori dell’Illinois non raggiungevano, con le medesime cifre, addirittura dal 1997-1998, quando Michael Jordan li trascinò per l’ultima volta alla vittoria dell’anello insieme a Dennis Rodman e Scottie Pippen. Le cose vanno meglio anche ai playoff, dove i Bulls raggiungono le finali di Conference, arrendendosi soltanto al cospetto dei Miami Heat di LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh (4-1), dopo aver eliminato al primo turno gli Indiana Pacers di Paul George (4-1) e in semifinale di Conference gli Atlanta Hawks (4-2). Nella stessa stagione, inoltre, figura nello starting five della squadra della Eastern Conference all’All-Star Game disputatosi allo Staples Center di Los Angeles (primo giocatore dei Chicago Bulls a giocare titolare nell’evento dai tempi di Michael Jordan), quindi si aggiudica il prestigioso riconoscimento di MVP della regular season a soli 22 anni, risultando il più giovane della storia a riuscirci.
Nel 2011-2012 i Bulls dominano per la seconda volta di fila ad Est, imponendosi in vetta con 50 vittorie e 16 sconfitte, ma ai playoff vengono eliminati al primo turno dai Philadelphia 76ers, serie nella quale in gara-1 Rose si infortuna al legamento crociato anteriore sinistro. È il 28 aprile 2012 e non è un giorno come gli altri per il talentuoso playmaker di Chicago, che da questo momento in poi non riuscirà più a ritrovare sé stesso. Dopo aver saltato tutta la stagione 2012-2013, torna in campo in quella successiva, ma il 22 novembre una lesione al menisco del ginocchio destro lo costringe a fermarsi nuovamente, concludendo in anticipo la stagione dopo appena dieci gare disputate, per un totale di appena 311′ sul parquet. Nel 2014-2015 scende in campo in 51 partite, tornando anche ai playoff dopo tre anni da quel nefasto infortunio che lo frenò proprio sul più bello. Il suo ritorno coincide con la vittoria in gara-1 per 103-91 contro i Milwaukee Bucks allo United Center, match in cui Rose mette a referto 23 punti e 7 assist. Dopo aver superato il turno con i cervi per 4-2, i Bulls incontrano i Cleveland Cavaliers di LeBron James e Kyrie Irving in semifinale di Conference: D-Rose si prende la scena in gara-3, siglando il buzzer beater del 99-96 in favore dei suoi davanti al proprio pubblico e portando la serie sul 2-1 per Chicago, poi sconfitta per 4-2.
Il 2015-2016 sembra poter essere l’anno della svolta per il prodotto di Memphis, il cui minutaggio risulta il più elevato dall’infortunio del 2012 in poi, con 66 presenze e 2097′ sul parquet (quarta stagione assoluta per impiego in quel di Chicago per lui) e, costretto a scendere in campo con una maschera protettiva al volto, non si esprime al meglio delle sue potenzialità, facendo registrare medie piuttosto basse (16,4 punti, 4,7 assist e 3,4 rimbalzi a partita) e salutando la sua Chicago dopo otto anni, di cui quattro da incorniciare e altrettanti con poche luci e tante ombre. Nell’estate 2016 si accasa ai New York Knicks, dove trova un campione del calibro di Carmelo Anthony e una brillante promessa qual è il lettone Kristaps Porzingis. A conti fatti, le storie di Melo e D-Rose hanno molti aspetti in comune: entrambi hanno scelto la Grande Mela per riscattarsi, ma non sono riusciti a portare i Knicks ai playoff, così come tutti e due hanno vissuto un’esperienza agrodolce con la franchigia della propria città (Rose in quel di Chicago, Carmelo a New York). Con 18 punti, 4,4 assist e 3,8 rimbalzi, Rose totalizza le medie più alte dalla stagione dell’infortunio, ma l’obiettivo playoff per i Knicks sfuma e a fine stagione la franchigia newyorkese decide di ricostruire attorno a Porzingis, cedendo sia Anthony, agli Oklahoma City Thunder, che Rose, il cui accordo annuale non viene rinnovato.
Ritrovatosi tra i free-agent, il suo nome fa gola a numerose franchigie, pronte a scommettere sul suo riscatto nonostante il brusco crollo fisico e tecnico degli anni recenti. Sulle sue tracce, in particolar modo, ci finiscono Milwaukee Bucks, Cleveland Cavaliers e le due squadre di Los Angeles, i Lakers e i Clippers. Rose valuta le proposte dei gialloviola di LA e dei Cavs, decidendo in seguito di firmare per questi ultimi un contratto annuale al minimo salariale (2,1 milioni di dollari). In Ohio, l’ex #1 dei Chicago Bulls spera di ritrovare sé stesso, in una squadra a dir poco competitiva (tre finali e un titolo vinto negli ultimi tre anni) con nomi del calibro di LeBron James, Isaiah Thomas, Kevin Love e Dwyane Wade e, dunque, senza particolari pressioni nei suoi confronti, avendo a disposizione nel suo ruolo IT. L’infortunio dell’ex Boston Celtics, però, costringe coach Lue a cambiare le carte in tavola e a schierare titolare Rose in occasione della sfida inaugurale della nuova stagione proprio contro i verdi di Brad Stevens, in cui l’ex Knicks mette a referto 14 punti, 4 rimbalzi e 2 assist in 31 minuti e mostra in parte alcuni pezzi forti del suo bagaglio tecnico. D-Rose viene schierato in quintetto anche in occasione della trasferta vinta per 116-97 con i Milwaukee Bucks (12 punti, 2 rimbalzi e 1 assist in 23′), quindi è costretto a rinunciare per infortunio alle sfide con Orlando Magic (sconfitta per 114-93), i “suoi” Chicago Bulls (vittoria per 119-112), Brooklyn Nets (sconfitta per 112-107) e New Orleans Pelicans (sconfitta per 123-101), tornando in occasione della gara contro l’altra sua ex squadra, i New York Knicks, persa per 114-95 alla Quicken Loans Arena (15 punti, 3 rimbalzi e 3 assist in 31′).
Dopo aver messo a referto 19 punti nel ko con gli Indiana Pacers (124-107), 20 punti nel successo con i Wizards in quel di Washington (130-122), 10 punti nella sconfitta interna con gli Atlanta Hawks (117-115) e nella vittoria con i Milwaukee Bucks (124-119), Rose è costretto a dare forfait in occasione della trasferta persa per 117-113 con gli Houston Rockets, saltando anche le successive sette gare, in cui i suoi raccolgono altrettante vittorie. I ripetuti infortuni alla caviglia sinistra, seppur non gravi come quelli che lo limitarono notevolmente ai tempi dei Bulls, continuano dunque a perseguitare il malcapitato Derrick, che avrebbe deciso di valutare il ritiro, stanco com’è di non poter dare un contributo costante alla sua squadra sul parquet e di poter esprimersi ad alti livelli. La notizia ovviamente ha fatto il giro del mondo in poche ore, con i tanti fan del playmaker classe ’88 e della pallacanestro in generale che sperano che l’MVP del 2011 possa tornare sui suoi passi e prendersi ciò che gli spetta e che gli è stato tolto dai crudeli e tremendi infortuni che lo hanno afflitto nel momento in cui sembrava pronto per spiccare il volo e completare la sua scalata verso lo status di leggenda contemporanea, destinato a dominare la lega ancora per tanti anni. E, invece, il suo momento di gloria è durato fin troppo poco e in pochi anni Rose ne ha vissute davvero di tutti i colori.
E mentre coach Lue fa sapere che tutta la squadra attende con ansia il suo ritorno, pur senza mettere fretta al giocatore in questo momento di riflessione piuttosto complicato, Rose medita sul da farsi e noi lo immaginiamo deluso, dubbioso ma soprattutto arrabbiato, a ragionare sul suo futuro e a rievocare inevitabilmente i momenti più significativi, belli o brutti che ne siano, vissuti nel corso della sua carriera fin qui – e ce ne sono davvero tantissimi, in entrambi i sensi – mentre volge lo sguardo al Bill Russell Trophy, la statuetta dell’MVP vinta nel 2011, la accarezza con gli occhi lucidi e sedendosi porta le mani alle ginocchia, quasi a voler dire loro: «Perché mi avete fatto questo?». Infine decide che no, non è ancora giunta l’ora di andarsene, perché un campione come lui non può uscire di scena così: un epilogo del genere purtroppo per adesso possiamo solo auspicarlo, in attesa della decisione definitiva del buon Derrick Rose, che in molti sperano sia quella di stupire e regalare ancora emozioni sul parquet per un bel po’, nonostante tutto.
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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