Cosi alla fine la Superlega è stata annunciata. Erano mesi che questa voce girava in maniera incontrollata, forse, complice il fatto di essere un progetto ribelle, nessuno si aspettava che venisse realizzato davvero. Insomma, ma davvero il Barcellona può fare una cosa del genere? E il Milan? Il Real Madrid? Ma si, è sicuramente una boutade. E invece no: a tarda notte è arrivato il comunicato con tanto di sito ufficiale della Superlega.
Superlega, super soldi, super banche. È tutto super, così super che a saltare subito all’occhio è l’aspetto prettamente economico piuttosto che quello calcistico. La JP Morgan è una banca statunitense il cui utile netto è di 24,4 miliardi di dollari e la sua capitalizzazione è di 420 miliardi di dollari, stiamo parlando della più grande tra le banche mondiali. 3,5 miliardi di Euro. È questa la somma che la JP Morgan verserà alla nascente Superlega, composta da 12 club, definiti fondatori. Una cifra enorme che fa capire il volume d’affari che si intende creare attorno a questa nuova competizione.
Cifre che però tramortiscono il calcio, tramortiscono i sogni dei tifosi: dal tifoso di Serie A, all’ultimo tifoso di una squadra di periferia già provato da un calcio esclusivamente votato al denaro.
Sono passati decenni quando eravamo tutti sdraiati con la nostra birra sul divano, quando per guardare una partita ci si accontentava di tutto: erano gli anni d’oro de “Tutto il calcio minuto per minuto”.
Tutti sintonizzati su Radio1 a seguire non la propria squadra del cuore, ma tutto il calcio, ascoltato e osservato in una dimensione di misticismo. Nessuno può dimenticare i sussulti di quando il radiocronista annunciava confusamente un gol tra urla di gioia e di dolore. Era un altro calcio era il calcio delle emozioni genuine. Era il calcio degli anticipi, del posticipo e di tutto il resto alle 15 della domenica, il lunedì era solo dibattito con Aldo Biscardi e compagnia bella.
Poi cos’è successo? I diritti TV, i soldi, il business crescente, bilanci stratosferici, giocatori azienda ed un progressivo allontanamento dal misticismo calcistico di qualche decennio fa. Ci siamo abituati, abbiamo accettato tutto ciò con un borbottio a mezza bocca, ma in fondo che importava, in fondo la partita dura sempre 90 minuti e le emozioni in campo non possono essere ingabbiate in una fredda logica del profitto.
Eppure qualcosa si è rotto.
Lo spezzatino calcistico che vede partite anche il lunedì sera, una miriade di impegni ed infine una oramai insanabile differenza tra i club calcistici: il più ricco affonda il più debole.
Per questo motivo, quando nel 2016 il Leicester di Claudio Ranieri trionfava in Premier League, a festeggiare non era solo la Premier, ma tutto il mondo. La vittoria del Leicester vista come Davide che batte Golia (anche se, dal punto di vista societario, il Leicester non è proprio Davide).
La vittoria del Leicester fece capire – per l’ennesima volta – che il calcio aveva bisogno di questi episodi. Il calcio come strumento di rivalsa sociale di chi è povero, ma può vincere e cambiare il proprio destino. Il calcio come strumento religioso di chi lo ha letteralmente sposato come unica fede, il calcio come strumento d’amore, il calcio come vita fatta di passione e sentimenti. Che fine ha fatto tutto ciò?
Ma torniamo a noi, torniamo alla realtà. Uefa e Fifa urlano istericamente contro la Superlega, si dicono pronti addirittura a spendere 50 miliardi per intentare una causa nei confronti dei 12 club che hanno aderito alla nuova competizione. Chiedono pene esemplari, vogliono escludere le squadre perfino dai campionati nazionali.
Una reazione scomposta che guarda solo ed esclusivamente alla dimensione economica. Ma la creazione della Superlega non è forse indirettamente (o direttamente) una conseguenza delle gestioni Uefa? Insomma, sappiamo bene quanto l’Uefa sia legata al business del calcio, sappiamo bene come l’Uefa provi ad applicare il concetto di uguaglianza: il fair play finanziario è una prova di tale distorsione.
Siamo seri: qualcuno ha mai capito come funziona davvero il fair play finanziario?
L’Uefa ha costituito tale strumento di controllo cercando di arginare lo strapotere dei club più forti, ma il risultato finale è stato di vedere i più forti sempre più forti, mentre i più deboli hanno subito negativamente il Fair Play. Buona l’idea, pessimo il risultato come dimostrano alcune operazioni di società divenute vere multinazionali come il Paris Saint Germain e il Manchester City.
L’Uefa sembra agire solamente perché qualcuno sta tentando di rubargli il giocattolo. Sia chiaro, qui non si auspica una Superlega, ma si vuole mettere a nudo un sistema ipocrita che ha giocato con i sentimenti dei tifosi, gli unici veri sconfitti di questa insulsa vicenda.
Curiose perfino le dichiarazioni della Fifa che ha definito la Superlega: “contraria ai princìpi del nostro calcio”. Ma sono forse gli stessi princìpi dello scandalo corruzione del 2015, in cui Sepp Blatter dovette dimettersi? O magari sono quelli legati alle assegnazioni dei mondali in paesi in cui ad esser calpestati sono i diritti umani, si veda la questione de mondiali in Qatar del 2022. Troppa ipocrisia.
Vince il denaro, vince la logica del profitto. Perde il calcio come religione, come strumento delle masse, perdono i tifosi, l’anima limpida del calcio.
Sui social si ode la difficoltà di comprendere una tale operazione, si percepisce il disagio dei tifosi ed il loro totale disappunto. Si percepisce anche l’amarezza di alcun ex giocatori e di alcuni giocatori ancora in attività che vogliono assolutamente vederci chiaro.
Che sarà quindi della Champions League e di tutte le altre competizioni? Una bella domanda, la cui risposta è ignara perfino all’Uefa, certamente da oggi però è guerra, così com’è stata definita da molti giornali: è la guerra del calcio, dove già sappiamo il nome degli sconfitti.
Benito Rausa
Si ringrazia Simone Guccio per l’immagine.
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