Pochi giorni fa la notte degli NBA Awards ha premiato Russell Westbrook, che con la bellezza di 888 voti si è portato a casa l’ambito riconoscimento di MVP della regular season, battendo la concorrenza della point guard degli Houston Rockets James Harden (753) e dell’ala piccola dei San Antonio Spurs Kawhi Leonard (500). Tra i tre nomi che si sono contesi il premio mancavano quelli di giocatori che lo hanno vinto più volte negli anni recenti, tra cui LeBron James, Kevin Durant e Stephen Curry, ma anche quello di Isaiah Thomas, un giocatore che ha stupito tutti nel corso della stagione scorsa, mettendo a referto un’incredibile media di 28,9 punti, 2,7 rimbalzi e 5,9 assist a partita nella regular season, numeri che gli hanno permesso di trascinare i suoi Boston Celtics al primo posto nella Eastern Conference con un record di ben 53 vittorie e sole 29 sconfitte, precedendo i Cleveland Cavaliers (51-31).
I biancoverdi non facevano così bene addirittura dal 2010-2011, anno in cui vinsero 56 partite e ne persero 26, arrivando però terzi dietro ai Chicago Bulls di Derrick Rose e ai Miami Heat di Chris Bosh, LeBron James e Dwyane Wade. Per i Leprechauns di Brad Stevens l’apporto di Isaiah Thomas è stato fondamentale per tornare ad esprimersi ad alti livelli dopo che le scorse stagioni sono state caratterizzate da alterne fortune: il playmaker classe ’89 è protagonista di una storia molto particolare. Candidatosi al Draft del 2011 dopo aver ottenuto risultati positivi nel triennio al college con i Washington Huskies, Thomas viene selezionato con la sessantesima ed ultima scelta dai Sacramento Kings, riuscendo sin da subito a ritagliarsi un ruolo di primo piano nella franchigia californiana e venendo inserito nel secondo quintetto delle matricole. Basti pensare che fino ad oggi ha totalizzato più punti di molti dei cinquantanove giocatori che lo hanno preceduto nella lotteria di sei anni fa.
Dopo tre anni trascorsi in quel di Sacramento, si trasferisce via trade ai Phoenix Suns, in cui resta fino a febbraio del 2015: ad accaparrarselo, infatti, sono i Boston Celtics, in cui disputa per la prima volta in carriera i playoff, venendo eliminato al primo turno dagli Atlanta Hawks. Dopo il debutto con una doppia doppia (22 punti, 10 assist e 5 rimbalzi) nella sconfitta per 102-101 alla Philips Arena di Atlanta il 16 aprile, otto giorni più tardi Thomas mette a segno il suo career high nei playoff, consentendo ai suoi di avere la meglio per 104-95 al TD Garden in virtù di 42 punti messi a referto. Ma è quest’anno che The Mighty IT – soprannome affibbiatogli dall’ex leggenda dei Los Angeles Lakers Kobe Bryant – ha superato sé stesso, sia dal punto di vista tecnico che per ciò che concerne la sua forza mentale.
Sul parquet ha fatto vedere grandi cose, infrangendo innumerevoli record tra regular season e playoff e rivelandosi un perno insostituibile per i Celtics, mentre fuori dal campo ha dovuto affrontare la prematura scomparsa della sorella Chyna in seguito a un incidente stradale. Thomas scende regolarmente in campo in gara-2 delle semifinali di Eastern Conference contro i Washington Wizards, aiutando in maniera considerevole con 53 punti i suoi Boston Celtics a portarsi sul 2-0 nella serie e dedicando la fondamentale vittoria proprio alla sorella. Situazioni del genere fanno
meglio comprendere la natura di un personaggio che incarna al meglio i valori dello sport che pratica, avendo avuto il coraggio di rischiare, sfidare i propri limiti e imparare dai suoi errori, correggendo i suoi difetti e lavorando costantemente per portare a termine i suoi obiettivi, onde evitare di avere rimpianti circa il prosieguo della sua carriera.
Alto appena 1,75 m (il più basso di sempre in NBA resta l’ex playmaker Muggsy Bogues, alto 1,60 m), Isaiah Thomas ha trasformato i propri apparenti difetti in pregi utili concreti, distinguendosi come un giocatore dal peso specifico enorme per una squadra del calibro dei Boston Celtics e raccogliendo le meritate soddisfazioni a lungo inseguite nell’arco di un’appassionante carriera in NBA nel cui esito positivo credevano davvero in pochi. IT ha fatto ravvedere critici e scettici con i fatti, mettendo in mostra tutto il suo infinito potenziale sul parquet tra Sacramento, Phoenix e Boston, tre realtà diverse tra loro che nel corso degli ultimi sei anni hanno contribuito a plasmare, far crescere e successivamente affermare uno dei migliori playmaker della lega. Pur non essendo al livello dei tanti altri campioni per ciò che concerne la stazza fisica, il 28enne di Tacoma compensa con una grinta fuori dal comune, unita a una forte determinazione, due tra i tanti fattori che gli hanno permesso di imporsi tra i grandi.
Isaiah Thomas è la rappresentazione vivente del fatto che gettare il cuore oltre l’ostacolo alla fin fine paghi sempre e che con grande forza di volontà e consapevolezza nei propri mezzi si possono scalare anche le vette più alte e apparentemente invalicabili. L’estate di sei anni fa lo vide approdare in NBA da ultima scelta, quest’oggi è tra i migliori e si sta prendendo gradualmente tante rivincite nei confronti di chi non aveva fiducia in lui oppure riteneva che la sua carriera non gli avrebbe riservato particolari soddisfazioni. In breve tempo Thomas ha dimostrato il contrario e lo ha fatto nella maniera più naturale e genuina possibile, ossia facendo vedere di cosa è capace sul parquet, rispondendo col pallone tra le mani ed evitando di ricorrere a frasi fatte, promesse e parole in libertà. Proprio come faceva il suo punto di riferimento Allen Iverson, l’MVP più basso di sempre, che era alto 1,83 m, ma riusciva a penetrare agevolmente, avendo la meglio su avversari ben più alti e robusti grazie alla sua estrema tenacia.
Quasi impossibile non associarsi a chi, come l’autorevole giornalista sportivo Federico Buffa, gli avrebbe dato l’MVP: il piccolo «grande» Isaiah ha vissuto una stagione a dir poco entusiasmante, conducendo con destrezza e abilità la ben strutturata macchina dei Celtics di Brad Stevens, stabilendo tantissimi primati individuali e trasmettendo un perfetto quanto introvabile altrove connubio di passione ed energia, lottando in ogni situazione per sé stesso, i suoi compagni, la sua società e i propri tifosi. Senza sé e senza ma, senza mezzi termini: un metro e settantacinque di classe, talento, cattiveria agonistica, voglia di arrivare e dinamismo, ecco chi è Isaiah Thomas.
Pur non avendo vinto l’MVP e il titolo di campione della Eastern Conference (sconfitta in finale contro i Cleveland Cavaliers), The Little Guy ha predicato al meglio l’essenza vera e propria della pallacanestro e dello sport in generale, rispecchiandone nella maniera più autentica e pura i valori principali: coraggio, divertimento, passione. «Mi vedo alto come gli altri» ha dichiarato in merito alla sua altezza: perché mentre gli altri camminano, lui vola e fa sembrare tutto maledettamente semplice, sfidando le più elementari leggi della fisica. Come disse Agamennone a Patroclo nella tragedia shakesperiana Troilo e Cressida, «Preferiamo di gran lunga un nano che si dà da fare a un gigante addormentato».
Dennis izzo
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