Il giorno dopo fa ancora più male. L’Italia non parteciperà ai Mondiali per la seconda volta consecutiva, in seguito alla clamorosa quanto inattesa sconfitta per 1-0 con la Macedonia, in un Barbera tutto esaurito. Lo stadio di Palermo aveva quasi sempre portato bene agli Azzurri (ben tredici vittorie in quindici gare disputate a La Favorita), ma stavolta è stato teatro di una delle peggiori disfatte della storia del calcio italiano (prima sconfitta in casa nelle qualificazioni ai Mondiali, dopo ben 48 vittorie e 11 pareggi in 59 sfide).
In occasione della nefasta eliminazione subita ad opera della Svezia nel 2017 sembrava avessimo toccato il fondo. Fu un evento inevitabilmente negativo, ma ebbe i suoi risvolti positivi. Rappresentò, infatti, l’inizio di un nuovo ciclo, con Roberto Mancini al timone di una Nazionale più giovane e spregiudicata. Dopo una beffa del genere, nessuno si sarebbe aspettato che pochi anni dopo sarebbe accaduto qualcosa di peggio.
Se è vero che si tratta anche in questo caso di un’eliminazione in uno spareggio per accedere alla Coppa del mondo, è altrettanto vero che questa arriva appena 256 giorni dopo una delle pagine più belle della storia della nostra Nazionale, ossia la vittoria degli Europei. Il capolavoro compiuto a Wembley aveva riportato l’Italia sul tetto d’Europa dopo ben 53 anni, facendo gioire un paese intero dopo numerose delusioni sportive (due eliminazioni consecutive al primo turno dei Mondiali, nel 2010 e nel 2014, e, soprattutto, la già citata uscita di scena con la Svezia nel playoff per accedere ai Mondiali 2018) e il dramma del Covid.
Partita dopo partita, sulle notte di “Notti magiche”, gli Azzurri di Mancini hanno fatto sì che un sogno apparentemente irrealizzabile divenisse realtà. Sotto i nostri colpi sono cadute alcune delle squadre più forti al mondo, ben più quotate alla vigilia del torneo: tra queste, il Belgio, la Spagna e l’Inghilterra. Il tutto raggiunto con un gioco tanto spumeggiante quanto efficace, una difesa solida (appena quattro gol incassati in sette gare da 720’ totali, mai più di uno in una singola partita) e un gruppo compatto e coeso dal primo all’ultimo match.
L’estate 2021 è stata a dir poco indimenticabile non solo per il calcio, ma per tutto lo sport italiano. Dall’Europeo di pallavolo al record di medaglie vinte alle Olimpiadi di Tokyo (40, tra cui quelle di Marcell Jacobs nella finale dei 100 metri e Gianmarco Tamberi nel salto in alto), passando per la qualificazione del tennista romano Matteo Berrettini alla finale di Wimbledon.
Dopo l’Europeo, però, qualcosa si è rotto. L’Italia è tornata in campo contratta, quasi come se l’inaspettato successo avesse saziato la fame dei nostri Azzurri. Tanto battaglieri e mai domi nella rassegna continentale quanto inconcludenti e opachi nelle qualificazioni ai Mondiali e in Nations League. Al record di 37 risultati utili consecutivi hanno fatto seguito appena due vittorie e ben quattro pareggi in sette gare.
Se si esclude il netto 5-0 rifilato alla Lituania lo scorso 8 settembre, l’Italia ha segnato la miseria di cinque gol in otto gare post Europeo, rimanendo a secco in tre occasioni, lo stesso numero di gare senza nemmeno un gol nelle prime 39 partite dell’era Mancini. Numeri che testimoniano l’evidente calo tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, ma che non bastano, da soli, a spiegare una debacle che ha del clamoroso.
L’Italia non partecipa ai Mondiali dal 2014, quando con Cesare Prandelli in panchina non andò oltre la fase a gironi in Brasile (vittoria con l’Inghilterra nella gara d’esordio e sconfitte con Costa Rica e Uruguay). Stessa sorte quattro anni prima in Sudafrica, con Marcello Lippi che ottenne la miseria di due punti (pareggi con Paraguay e Nuova Zelanda e ko con la Slovacchia).
La trionfale edizione di Germania 2006, dunque, risulta l’ultima in cui gli Azzurri superarono la fase a gruppi. In caso di qualificazione alla Coppa del mondo del 2026, in programma tra Stati Uniti, Canada e Messico, torneremmo ai Mondiali dopo ben dodici anni dall’ultima volta, mentre se dovessimo riuscire a superare i gironi disputeremmo un ottavo di finale dopo vent’anni.
Una vera e propria anomalia per una Nazionale del calibro dell’Italia, tra le più vincenti e gloriose del panorama calcistico mondiale. Con quattro Coppe del mondo in bacheca, siamo secondi soltanto al Brasile (5) e a braccetto con la Germania, che ci raggiunse nel 2014. Proprio la Seleçao e la Mannschaft sono le uniche due nazionali a poter vantare più partecipazioni alla fase finale dei Mondiali, rispettivamente 21 (record) e 19 (diventeranno 22 e 20 in Qatar) contro le nostre 18 apparizioni, di cui 14 consecutive tra il 1962 e il 2014.
Non solo una generazione di tifosi non ha mai potuto ammirare l’Italia al Mondiale (chi aveva 8 anni il giorno della disfatta con la Svezia dovrà aspettare di compierne 17 per sperare di rivedere i nostri Azzurri prendere parte alla rassegna iridata), ma anche e soprattutto numerosi calciatori italiani non hanno mai partecipato al torneo.
Limitandoci all’era Mancini, se si escludono i senatori Chiellini, Bonucci, Verratti, Insigne, Immobile, Sirigu, Quagliarella e De Sciglio, peraltro mai andati oltre la fase a gironi, infatti, nessuno degli altri 67 calciatori impiegati dall’attuale commissario tecnico ha mai preso parte a una Coppa del mondo.
Alcuni dei migliori giovani talenti prodotti dal nostro calcio negli ultimi anni avrebbero potuto fregiarsi di ben due partecipazioni ai Mondiali, mentre a metà/fine carriera ne avranno al massimo una. Chiesa, Donnarumma, Zaniolo e Scamacca potrebbero debuttare nella competizione a 27 anni, Barella a 29, Pellegrini a 30 e Jorginho addirittura a 34.
Due icone del calibro di Chiellini e Bonucci, rispettivamente quasi 38 e 35 anni, invece, non avranno mai la possibilità di partecipare alla fase a eliminazione diretta di un Mondiale, così come probabilmente Verratti, che avrà 34 anni nel 2026. Come si è arrivati a toccare il punto più basso della storia della nostra Nazionale? Difficile, se non impossibile, dare una risposta univoca a questa domanda.
L’analisi del percorso pre e post Europeo può certamente aiutare a delineare un quadro generale delle cose, ma di certo non basta a risolvere i numerosi dubbi che il ko con la Macedonia ha sollevato. Del resto, se l’imprevedibilità non recitasse un ruolo di primo piano nel calcio, quest’ultimo non sarebbe lo sport più popolare e amato al mondo.
Trattandosi di uno sport di squadra, i meriti (quando si vince) e le colpe (quando si perde) sono sempre da dividere tra tutti i componenti di un gruppo: dai calciatori all’allenatore, dallo staff tecnico alla dirigenza. L’Europeo vinto la scorsa estate era stato il successo di un intero movimento: del presidente della FIGC Gabriele Gravina che scelse Roberto Mancini, del ct e dei suoi collaboratori per il coraggio e le idee vincenti, della squadra per aver ripagato la fiducia in campo.
Allo stesso modo, la disfatta con la Macedonia è la delusione più grande, come dichiarato dallo stesso Mancini. Un calo post Europeo era prevedibile, ma un crollo del genere no. Nel 2017 i giocatori, Ventura e Tavecchio vennero accusati fortemente dopo il ko con la Svezia, ma era un’altra storia.
Molti dei giocatori che in quel periodo indossavano ancora la maglia della Nazionale avevano già dato tutto ciò che potevano dare alla maglia azzurra (tre di loro, Buffon, Barzagli e De Rossi, inoltre, vinsero il Mondiale nel 2006) e l’Italia era reduce da risultati tutt’altro che esaltanti. Quest’anno, invece, le aspettative erano molto più alte, soprattutto dopo l’Europeo.
Nel girone di qualificazione al posto della Spagna c’era la Svizzera e ai playoff non abbiamo incontrato la Svezia, ma la Macedonia. Sul fatto che si potesse fare molto di più non ci sono dubbi, ma la sensazione emersa durante la gara con i macedoni è che anche un passaggio del turno ci avrebbe probabilmente condannato a uscire al cospetto del Portogallo.
Come si riparte dopo un flop del genere? Anche a questo quesito non è affatto facile rispondere. Allo stato attuale, Roberto Mancini è ancora il commissario tecnico della Nazionale, con cui ha un contratto fino al 2026. La sua posizione, però, non può essere più salda come un tempo. Il Mancio ha vinto l’Europeo meno di un anno fa, ma potrebbe non bastare per la riconferma.
Rispetto a pochi mesi fa, il gioco risulta macchinoso e prevedibile e i cambi spesso e volentieri non sortiscono gli effetti sperati. E se l’Europeo ci avesse illuso, facendoci sembrare più forti di quanto siamo in realtà? Del resto, eccezion fatta per la scorsa estate, squadre del calibro di Spagna, Francia, Inghilterra, Germania, Brasile e Argentina, che apparivano al nostro stesso livello fino a qualche mese fa, hanno dimostrato di essere ancora avanti a noi sotto tanti aspetti.
Le due sudamericane hanno disputato l’ultima finale di Copa America, vinta da Messi e compagni, e si sono entrambe qualificate ai Mondiali in Qatar in largo anticipo. Non sono da meno inglesi, già semifinalisti nella scorsa Coppa del mondo e finalisti a Euro 2020, francesi, detentori del Mondiale e dell’ultima edizione della Nations League, tedeschi (campioni del mondo nel 2014) e spagnoli, semifinalisti all’ultimo Europeo e finalisti in Nations League.
Insomma, nell’ultimo decennio soltanto la vittoria dell’Europeo ci ha fatto sentire allo stesso livello delle nazionali più forti al mondo. Tutte le altre competizioni e il recente cammino nelle qualificazioni a Qatar 2022 hanno invece evidenziato quanto sia enorme il gap tra l’Italia e le altre big storiche del calcio mondiale. Quello compiuto agli Europei dal gruppo guidato da Mancini è stato un autentico capolavoro, ma ciò non deve rappresentare un alibi. Con la Macedonia, gli Azzurri avrebbero potuto (anzi, dovuto) vincere.
Ripartire ora sarà molto più difficile che nel 2017. In quel caso, la rifondazione tecnica e finanche societaria era nell’aria da tempo. Oggi, invece, sarà difficile, se non impossibile, cambiare drasticamente il volto di un gruppo che nel giro di nemmeno un anno è passato dalla gioia irrefrenabile per un trionfo che attendeva da più di cinquant’anni a un flop senza precedenti.
Per certi versi, quella ammirata negli ultimi mesi sembra l’Italia che Mancini trovò al suo arrivo nel maggio 2018: vuota, piatta, incapace di trovare il gol con regolarità e di salire di livello nelle partite decisive, peraltro con un gioco monotono e leggibile. Il Mancio aveva ovviato a questi problemi con un gioco divertente e inedito per una Nazionale che storicamente ha fatto del catenaccio e contropiede quasi un marchio di fabbrica.
Non sottolineare l’eccezionalità del lavoro di Mancini sarebbe un torto enorme nei confronti di un commissario tecnico che ha preso una Nazionale allo sbando e l’ha portata in vetta all’Europa. Al contempo, l’Europeo vinto non può e non deve diventare un inossidabile scudo che protegge ct e giocatori dalle critiche, peraltro doverose. Non eravamo i più forti di tutti a luglio, non siamo diventati improvvisamente scarsi a marzo.
All’Europeo abbiamo giocato con la spensieratezza di chi torna a disputare una competizione di rilievo dopo cinque anni, guadagnando fiducia e consapevolezza nei nostri mezzi partita dopo partita. Da settembre in poi, non siamo riusciti a replicare quanto fatto nei precedenti tre anni in termini di prestazioni, continuità di risultati, organizzazione, efficacia e solidità difensiva.
I due rigori sbagliati da Jorginho con la Svizzera (uno all’andata e uno al ritorno) hanno complicato e non poco il nostro percorso verso il Qatar, ma non possono certo bastare a spiegare il fallimento azzurro. In caso contrario, il calcio sarebbe una scienza esatta, cosa che purtroppo (o per fortuna) non è e non sarà mai. Errori di Jorginho a parte, dopo gli Europei non siamo più stati in grado di riproporre quel gioco armonioso, frutto del contributo di ogni membro della squadra, che ci aveva fatto gioire in estate.
L’ultima Nazionale capace di vincere l’Europeo tra due Mondiali non disputati risultava essere la Grecia, che nel 2004 vinse per la prima volta la manifestazione continentale contro i padroni di casa del Portogallo, ma nel 2002 e nel 2006 non riuscì a qualificarsi alla Coppa del mondo. Gli ellenici compirono un’impresa paragonabile alla Premier League vinta dal Leicester di Claudio Ranieri nel 2016, mentre gli Azzurri sono tra le Nazionali più vincenti di sempre, con quattro Mondiali e due Europei in bacheca.
Prima della Grecia, soltanto Cecoslovacchia (non qualificata ai Mondiali del 1974 e del 1978 e campione d’Europa nel 1976) e Danimarca (out sia da Italia ‘90 che da USA ‘94 e sul tetto d’Europa nel 1992) riuscirono nella poco edificante impresa. Storicamente, l’Italia si è spesso e volentieri rialzata alla grande dalle cadute più pesanti. Tra queste, le beffarde eliminazioni dai Mondiali ad opera delle due Coree (Corea del Nord nel 1966 e Corea del Sud nel 2002) e il più recente ko allo spareggio con la Svezia (2017).
19 luglio 1966 – L’Italia perde 1-0 con la Corea del Nord e viene eliminata dalla Coppa del mondo in Inghilterra alla fase a gironi. Due anni più tardi, gli Azzurri conquistano il loro primo titolo europeo contro la Jugoslavia e nel 1970 raggiungono la finale dei Mondiali in Messico, arrendendosi soltanto al cospetto del Brasile di Pelé;
23 giugno 1974 – Altra uscita di scena ai gironi di un Mondiale per la Nazionale, che si piazza dietro Polonia e Argentina. Nel 1978 gli Azzurri arrivano a un passo dalla finale e nel 1982, in Spagna, vincono la loro terza Coppa del mondo, battendo squadre del calibro di Argentina, Brasile e Germania;
18 giugno 2002 – È il giorno della clamorosa sconfitta con la Corea del Sud negli ottavi dei Mondiali di Corea e Giappone, passata alla storia per le discusse decisioni dell’arbitro Byron Moreno. Quattro anni più tardi, la Nazionale si riscatta vincendo il Mondiale in Germania, battendo due delle sue storiche rivali: i tedeschi padroni di casa in semifinale e la Francia in finale;
13 novembre 2017 – L’Italia perde lo spareggio per accedere ai Mondiali con la Svezia, fallendo la qualificazione alla Coppa del mondo dopo quasi sessant’anni (l’ultimo, e fin lì unico, precedente risaliva al 1958). Con l’arrivo di Mancini in luogo di Ventura, gli Azzurri risorgono e danno il via a una cavalcata che culmina nella vittoria del secondo Europeo della loro storia e nel record di 37 risultati utili consecutivi.
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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