Il legame indissolubile che lega il calcio a innumerevoli sfere sociali mette in crisi la considerazione che di questo sport hanno coloro che non ne sono attratti. «È soltanto un gioco!», ci sentiremo rispondere dagli appartenenti a tale gruppo. Eppure, in quanto fenomeno di vasta portata a livello globale, il calcio è praticamente ovunque: arte, cinema, musica, letteratura e anche politica. In quest’ultimo caso, però, non sempre in senso positivo.
Tra i tanti casi che legano il mondo del calcio a quello della politica, spicca quello recentissimo con protagonista Henrikh Mkhtaryan, trequartista armeno in forza all’Arsenal. L’ex giocatore del Borussia Dortmund, infatti, non ha potuto prendere parte alla trasferta dei Gunners sul campo del Qarabağ, in quel di Ağdam, Azerbaigian. Nessun infortunio né alcuna incomprensione con i compagni e l’allenatore alla base della decisione del classe ‘89, bensì motivi diplomatici che lo hanno convinto fosse meglio restare a Londra.
Tra l’Armenia, paese di cui è originario Mkhitaryan, e l’Azebaigian, infatti, non corre affatto buon sangue, in seguito alla Guerra del Nagorno-Karabakh, che tra il 1988 e il 1994 provocò la morte di circa 30.000 persone (tra cui 1264 civili armeni). Il conflitto iniziò ufficialmente nel 1992, un anno dopo la nascita della repubblica di Azerbaigian, ma già a partire dal 1988 si verificarono con frequenza atroci atti di pulizia etnica.
Attualmente, le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian sono presidiate da truppe militari e la guerra è teoricamente conclusa, ma entrambe le parti vengono spesso e volentieri meno al «cessate il fuoco» e l’Azerbaigian continua a rivendicare la perdita del proprio territorio e ad avere rapporti tesi con l’Armenia, che dal canto suo sostiene con convinzione il principio di autodeterminazione dei popoli.
Il conflitto, dunque, è tutt’altro che risolto: Armenia e Azerbaigian, infatti, non hanno ancora spento il fuoco dell’odio e della violenza e gli effetti di quest’opposizione si possono riscontrare in ogni ambito, calcio compreso. Dopo essere già stato costretto a saltare la trasferta di Europa League col Qabala, altra squadra azera, nel 2015 (anno in cui indossava la maglia del Borussia Dortmund), l’armeno Mkhitaryan ritrova l’Azerbaigian sulla sua strada, senza però poter mettere piede nel paese.
La stessa situazione potrebbe verificarsi tra pochi mesi, per l’esattezza il prossimo 29 maggio, giorno in cui si disputerà la finalissima di Europa League allo stadio Olimpico di Baku, capitale dell’Azerbaigian. Nel caso in cui l’Arsenal dovesse riuscire a raggiungere l’atto finale della competizione, cosa peraltro piuttosto fattibile per i Gunners vista la caratura della propria rosa, l’ex trequartista del Manchester United potrebbe essere nuovamente costretto a restare a Londra e a non poter dare il proprio contributo alla sua squadra in occasione di un appuntamento così importante e prestigioso.
Qurban Qurbanov, allenatore del Qarabağ e commissario tecnico della Nazionale azera, ha dichiarato che l’Arsenal avrebbe potuto tranquillamente convocare Mkhitaryan e fargli prendere parte alla trasferta in Azerbaigian. A detta sua, infatti, la decisione sarebbe scaturita dalla volontà di non caricare di eccessiva pressione il trequartista classe ‘89, che sarebbe stato sicuramente accolto da una bordata di fischi dai tifosi del Qarabağ, anche perché «tanti atleti armeni si recano frequentemente in Azerbaigian senza alcun tipo di problema».
La decisione presa dall’Arsenal per evitare di mettere pressione a Mkhitaryan è piuttosto comprensibile, in quanto il giocatore sarebbe stato presumibilmente esposto ad un clima a dir poco ostile nei suoi confronti qualora fosse partito al seguito della sua squadra. Quel che è certo è che il 29enne nativo di Erevan sarebbe potuto entrare in Azerbaigian con un visto che la UEFA avrebbe potuto fargli ottenere, ma per la seconda volta in carriera non è partito insieme ai suoi compagni di squadra alla volta della trasferta in terra azera.
Una vicenda che mette in evidenza l’influenza della politica sul mondo del calcio da un lato e, dall’altro, il ruolo di questo sport, capace di mettere in risalto problemi e questioni sociali che spesso e volentieri potrebbero passare inosservate o comunque potrebbero non ricevere l’attenzione mediatica che meritano. Un’altra storia su cui riflettere direttamente dal mondo del calcio: una componente sociale di ingente rilievo, tutt’altro che un semplice gioco.
Dennis Izzo
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