Il 16 gennaio 2017 entrerà, che lo si voglia o meno, nella storia ultracentenaria della Juventus. Nello splendido Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, la società campione d’Italia ha presentato il nuovo logo ufficiale che accompagnerà le gesta dei bianconeri a partire da luglio 2017. È stata indubbiamente una mossa inaspettata, un fulmine a ciel sereno, un’onda d’urto capace di arrivare in pochi minuti oltreoceano, grazie alla velocità ormai non sorprendente dei social, che hanno fatto rimbalzare la notizia da un utente all’altro in poco tempo.
Da chi l’ha definito un attentato alla storia della Vecchia Signora a chi, invece, sostiene che sia non solo una grande mossa di marketing, ma anche un richiamo alla tradizione juventina. Quello su cui tutti sono d’accordo, però, è che questa è una mossa che potrebbe segnare una cesura definitiva nel calcio moderno, un calcio non solo fatto di vittorie, trofei e risultati sportivi ma anche di business, merchandising e sponsorizzazioni.
“Mi emoziono ogni volta che vedo sui giornali una parola che inizia per J”. Parafrasare Giovanni Agnelli, in una scelta societaria del genere, era d’obbligo. La J, adesso, sta al centro di un progetto da multinazionale, potenzialmente capace di fare ricavi da record. All’apice di tutto ciò, però, non vi sarà il solo logo, comunque di importanza centrale, bensì anche il J-village: all’interno di esso, infatti, la Juve sposterà il centro dei propri interessi, a partire dallo Juventus Training Center e passando dal J Hotel, il centro media e la nuova sede societaria. L’obiettivo? Arrivare al pari delle grandi big europee quali Bayern, Barcellona, Real e Manchester United, che fatturano l’anno circa 400 milioni di euro (di cui il 40-50% netto provenienti da merchandising e diritti d’immagine).
Immaginate ora di dover scegliere l’acquisto dei prodotti targati Juventus in due momenti differenti: nel presente immediato e nel futuro non proprio remoto. Immaginate, ancora, di non dover scegliere tra la maglia usata in casa e quella utilizzata in trasferta, bensì di dover valutare su capi d’abbigliamento per tutti i giorni quali felpe, cappelli, camicie o giacche. Rischiereste di comprare del vestiario con un logo di una squadra di calcio tanto invasivo, quanto poco adatto per certe occasioni (pensate, ad esempio, una serata di gala), oppure optereste per un vestito con un logo essenziale ed elegante? Crediamo di aver reso bene l’idea.
L’intenzione, per farla breve, è quella di internazionalizzare il brand Juventus e accedere a quei mercati da miliardi di consumatori (ad esempio, dato il periodo storico, quello asiatico) tramite un marchio minimal, capace di essere riconosciuto con una semplice occhiata. Prendete i marchi più famosi del mondo: McDonald’s, Nike, Beats, Apple, Dolce & Gabbana, Chanel; tutti con un carattere essenziale, dal facile riconoscimento. Ma in quella J stilizzata e creata da Interbrand (si Inter…brand, davvero strano il destino) lo stesso Andrea Agnelli vede più di una semplice lettera: “Il nuovo logo rappresenta in modo immediato e inconfondibile la Juventus nella sua essenza: la J del nome, le strisce della maglia, lo scudetto della vittoria”.
Madama, insomma, si è voluta portare nel futuro. È la prima big del calcio mondiale ad adottare un logo del genere, “tradendo” quel tradizionale stemma che negli anni si è succeduto, decennio dopo decennio, con gli stessi elementi di volta in volta rinnovati. Dopo lo stadio e il progetto del villaggio bianconero prossimo al completamento, il logo è l’ennesimo passo per avvicinarsi sempre più a quelle potenze economiche del calcio che qualche anno fa sembravano quanto mai un miraggio. Un “male necessario”, come soleva dire il pragmatico Machiavelli, a cui i tanti tifosi si abitueranno, nonostante l’enorme affezione all’ultimo stemma, simbolo anche e soprattutto della rinascita bianconera nel calcio che conta.
Francesco Mascali
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Proprietario, editore e vice direttore di Voci di Città, nasce a Catania nel 1997. Da aprile 2019 è un giornalista pubblicista iscritto regolarmente all’albo professionale, esattamente due anni dopo consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza, per poi iniziare la pratica forense presso l’ordine degli avvocati di Catania. Ama viaggiare, immergersi nelle serie tv e fotografare, ma sopra tutto e tutti c’è lo sport: che sia calcio, basket, MotoGP o Formula 1 non importa, il week-end è qualcosa di sacro e intoccabile. Tra uno spazio e l’altro trova anche il modo di scrivere e gestire un piccolo giornale che ha tanta voglia di crescere. La sua frase? «La vita è quella cosa che accade mentre sei impegnato a fare altri progetti»