La corsa della birra, quella del muro (di Huy) e la decana: il terzetto è sempre quello ed è quello che, in questo rigoroso ordine, da diversi anni a questa parte segna e chiude il periodo delle grandi classiche di marzo e aprile.
Possono variare i percorsi, i vincitori e le condizioni atmosferiche ma alla fine anche le Ardenne (definizione in realtà impropria) hanno ogni anno le loro piccole certezze che puntualmente vengono confermate, alcune delle quali però in questo 2018, con più o meno grande sorpresa, sono venute a mancare.
Diversa per fisionomia e caratteristiche dalle gare sulle pietre, la tripletta franco-belga-olandese è sempre stata appannaggio di corridori che avessero il giusto mix di esplosività e resistenza nelle gambe, qualità esaltate in età contemporanea più di ogni altro dall’Embatido Alejandro Valverde che di anno in anno ha trasformato sempre più queste corse nel proprio prezioso giardino di casa.
Anche nel 2018, visto il feeling con la vittoria mostrato dall’inizio della stagione e l’incredibile propensione dello spagnolo in queste gare, si pensava che il cinque volte vincitore della Fleche e quattro volte trionfatore della Liegi rimpolpasse ulteriormente il proprio bottino e invece, correndo da primo o massimo secondo favorito tutte e tre le prove, alla fine ha portato a casa “solo” un secondo posto nell’amata corsa con arrivo in cima al Muro di Huy, battuto dalla stella sempre più luminosa di Julian Alaphilippe, alfiere della Quick-Step alla prima classica importante della carriera.
Julian Alaphilippe (Fra) team Quick Step Floors won Fleche Wallonne in a thrilling finale. Detrhoning Alejandro Valverde. pic.twitter.com/oYmsKmhAez
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Già, la Quick-Step. Se si dovesse trovare un minimo comune denominatore a tutte le classiche del nord, da quelle sulle pietre fino alle prove sugli strappi delle Ardenne, quello è certamente la presenza di un uomo in bianco-blu su uno dei primi tre gradini del podio, con una preferenza per quello più alto rispetto agli altri due. Come se non bastasse infatti la straripante striscia sul pavè e il successo in Vallonia, la formazione belga si è tolta, a mo’ di ciliegina sulla torta, lo sfizio di imporsi nell’unica classica che dal 2003 (primo anno da main sponsor) mancava in bacheca, ossia proprio la Liegi-Bastogne-Liegi, la decana delle classiche.
A colmare questa lacuna per il team di Patrick Lefevere ci ha pensato un altro giovane sulla cresta dell’onda anch’egli, come Alaphilippe, non solo al primo trionfo in una classica importante ma anche addirittura in un monumento. Parliamo di Bob Jungels, venticinquenne lussemburghese, che in Italia ha avuto sia l’onore di indossare la maglia rosa al Giro nel 2017 (con l’aggiunta della frazione di Bergamo) che di vincere anche la prima corsa tra i professionisti a Stresa (GP Nobili) con un pregevole attacco in solitario, la stessa modalità scelta domenica per mettersi alle spalle sul traguardo di Ans tutti i principali favoriti di giornata.
2017 Giro d’Italia: Jungels wins Stage 15, Dumoulin retains the Maglia Rosa #Giro #Giro100https://t.co/NLJJWSe881 pic.twitter.com/E8WgHintkz
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Nella sua poderosa e vincente azione dopo lo scollinamento della Roche aux Facons (non troppo dissimile in linea teorica a quella che fruttò a Vincenzo Nibali il secondo posto nel 2012), il campione di Lussemburgo ha potuto approfittare dell’attento ed efficace lavoro di Alaphilippe nel ruolo di stopper e soprattutto dell’eccessivo attendismo nel gruppo inseguitore proprio tra i grossi nomi candidati alla vittoria finale, i quali, incapaci di trovare un accordo per unire le forze e ricucire su di lui, hanno continuato a scattarsi in faccia uno dopo l’altro rendendo inutile ogni sforzo per provare a impedirgli il successo.
Una componente quest’ultima, quella del guardarsi troppo in faccia, che non solo ha influito in maniera decisiva sull’esito della Doyenne ma che ha pesato pure indubbiamente sulla conclusione dell’Amstel Gold Race, vinta da un sempre più centrato Michael Valgren su Roman Kreuziger grazie ad uno dei tanti attacchi portato nel finale sfruttando, in primis, la presenza di spauracchi come Sagan e Valverde nel gruppo principale e, in secondo luogo anche qui, la superiorità numerica degli uomini Astana nel plotoncino che si andava a giocare la corsa.
Amstel Gold Race 2018, Valgren: “Ho rischiato per vincere e ci sono riuscito” https://t.co/ajg2Iigbc6 pic.twitter.com/NPqVJPnevJ
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Da questo emerge come al giorno d’oggi, per provare a far risultato in questo tipo di corse, risulti fondamentale se non obbligatorio avere una squadra con più frecce al proprio arco ai nastri di partenza, lasciandosi aperte in questa maniera un maggior numero di soluzioni potenzialmente vincenti e consentendo allo stesso tempo ai componenti della squadra stessa di affrontare la corsa in maniera più aggressiva e di essere inseguiti invece che inseguire.
L’Astana questa settimana, con il trionfo del danese in Olanda e le vittorie a ripetizione al Tour of the Alps, e soprattutto la Quick-Step (27 vittorie in stagione, 11 delle quali ottenute in gare di un giorno in Belgio con ben 9 uomini diversi) sono la più lampante dimostrazione di questo asserto. I vari Valverde, Kreuziger, Matthews, Sagan, Bardet sono finiti stritolati nella loro morsa e hanno patito moltissimo, essendo soli o quasi, la partita a scacchi astutamente giocata dalle formazioni che puntavano con più uomini al successo finale.
Fra queste non possiamo dimenticare Sky, UAE-Emirates, Bahrain-Merida e Lotto-Soudal, team che avevano tutte le qualità per gareggiare alla pari con Quick-Step e Astana e che, sebbene abbiano provato a dire la loro in tutte le tre classiche delle Ardenne, sono tornate a casa sconfitte.
I britannici hanno avuto un Kwiatkowski in fase calante e hanno provato a pungere con Henao senza successo così come la formazione di Beppe Saronni non ha trovato grandi risposte dai suoi due leader, Dan Martin (sfortunato alla Liegi ma apparso in generale indietro di condizione) e Rui Costa, molto adatti e capaci in passato di ben figurare in queste prove.
Dan Martin rues bad luck with a late puncture in Liege-Bastogne-Liege
'You couldn't make it up' Irishman sayshttps://t.co/Z6n3Qy8uo2 pic.twitter.com/urZFPIPg5E
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I bahreiniti, dal canto loro, hanno ottenuto i risultati migliori grazie a un Gasparotto (terzo all’Amstel e sesto alla Liegi) con una gran gamba e sempre a suo agio nelle Ardenne dove purtroppo non ha reso come ci si aspettava Vincenzo Nibali, autore di una bella azione alla Freccia nel tentativo di scongiurare la classica volata sul Muro di Huy ma sfortunatamente in giornata no laddove ci si aspettava il grande acuto, ossia alla Doyenne in cui bene invece ha figurato Domenico Pozzovivo (quinto), arrivato direttamente dalla soddisfacente prova al Tour of the Alps.
I bianco-rossi belgi infine erano sulla carta molto competitivi con un trio di grande qualità composto da Tim Wellens, Tiesj Benoot e Jelle Vanendert ma nessuno dei tre in tutte le occasioni avute è riuscito a inserirsi nell’azione giusta o si è sacrificato tempestivamente per il successo degli altri due.
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Dunque ci troviamo per forza di cose a celebrare nuovamente, al termine di questi sette giorni di grandi competizioni, il valore e il peso della squadra in uno sport ritenuto dai più come individuale: gli ultimi successi, come anche quelli dei due mesi precedenti nelle prove di un giorno, sono difatti quasi tutti esempi di come l’affiatamento, il sano spirito competitivo tra i membri dello stesso team e la libertà d’azione concessa a ciascuno di questi indiscriminatamente possano portare a serie di risultati impensabili.
È quello che durante questa settimana hanno raggiunto i due team che hanno dominato gli ordini d’arrivo, Quick-Step e Astana, quest’ultima certamente spinta da motivazioni e da un pensiero extra: un anno fa, di questi tempi, ci lasciava l’indimenticato Michele Scarponi che però dal cielo in questi giorni avrà potuto sorridere per tutte le dediche, degli ex compagni in maglia celeste e non solo, speditegli dalle linee bianche di traguardi disseminati in tutta Europa.
Fonte immagine: www.eurosport.com
Federico Guido
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