Marta – Il delitto della Sapienza è un documentario scritto da Emanuele Cava, Gianluca de Martino, Laura Allievi e diretto da Simone Manetti, che viene trasmesso per la prima volta nel 2021 su Rai 2 e che è presente da agosto del 2022 su Netflix.
Suddiviso in due puntate, il docudrama, racconta la vicenda di Marta Russo, studentessa universitaria che il 9 maggio del 1997, che, mentre passeggiava con una sua collega all’interno della città universitaria della Sapienza di Roma, è stata colpita da un proiettile alla testa.
Il documentario racconta, secondo diversi punti di vista, tutto ciò che è accaduto dopo quel 9 maggio che ha segnato la vita non solo di Marta Russo, ma anche di tutti quelli che l’avevano conosciuta.
I giornalisti, i familiari e gli amici di Marta, coinvolti nel caso, vengono intervistati ricostruendo passo per passo la vicenda.
L’aspetto che rende prezioso e interessante questo documentario è l’utilizzo del materiale del repertorio, che in parte non era mai stato reso pubblico: infatti, per la prima volta in 25 anni, i mass media hanno avuto completo accesso agli archivi della Corte d’Assise di Roma e della Polizia di Stato, riuscendo a rendere note le intercettazioni telefoniche, i filmati degli interrogatori, i fascicoli fotografici della Polizia Scientifica e l’inedita telefonata al 113 avvenuta al momento dello sparo.
Ancora più di impatto sono stati i diari ‘segreti’ di Marta messi a disposizione dalla famiglia, in cui la studentessa raccontava della sua vita. Alcune delle pagine di diario scritte dalla giovane vengono lette durante il documentario, suscitando nello spettatore un avvicinamento emotivo alla tragedia che ha colpito Marta.
Il docudrama racconta minuziosamente la vicenda: inizia proprio dal principio, raccontando il momento in cui Marta viene colpita da un proiettile e si ritrova per terra.
In un primo momento non è chiaro che un colpo di arma da fuoco abbia colpito la nuca della studentessa, ragion per cui chi chiama i soccorsi dirà che una ragazza si trova distesa a terra priva di coscienza, forse a causa di un malore. Questa confusione riguardo cosa sia realmente successo a Marta verrà spiegata successivamente da alcuni testimoni, che parleranno di un colpo sparato con un silenziatore. Marta verrà trasportata al Policlinico Umberto I, dove arriverà in coma.
Il 14 maggio, dopo aver constatato la morte cerebrale di Marta, i genitori decidono di staccare la spina che la teneva ancora in vita.
Le indagini si presentano subito molto complesse. Nonostante le ricostruzioni, infatti, è impossibile sapere con certezza da dove sia partito il colpo. Inoltre, difficile scoprire il movente e capire se Marta potesse essere coinvolta in questioni che avevano spinto qualcuno a organizzare il suo omicidio.
In un primo momento il delitto viene collegato a un’azione terroristica: infatti, il 9 maggio era stata registrata la morte di diverse personalità politiche di destra. Si pensa a uno scambio di identità, poiché la collega di Marta che era con lei nel momento del delitto, Jolanda Ricci, era la figlia del direttore del carcere di Capraia e Rebibbia. Questa ipotesi viene da lì a breve abbandonata.
Dopo alcune perquisizioni presso gli uffici e i locali della ditta di pulizie vengono ritrovati bossoli e parti di armi. I diversi interrogatori fatti nei giorni successivi e le diverse indagini però escludono la presenza di dipendenti al momento del delitto.
I risvolti decisivi ci saranno quando la polizia scientifica troverà nell’aula di filosofia di diritto una presunta particella che era compatibile con la polvere da sparo.
Dopo aver sentito alcune testimonianze, decisiva fu la dichiarazione di Mariachiara Lipari, dottoranda, che dichiarò di essere entrata nell’aula e di ricordarsi della presenza di due ragazzi e una donna, l’unica che la Lipari è riuscita a riconoscere, Gabriella Alletto, impiegata dell’istituto.
Nei primi interrogatori la Alletto negò la sua presenza all’interno dell’aula, fino a quando decise di dichiarare spontaneamente di trovarsi lì insieme a due assistenti universitari: Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, ritenuti i responsabili del delitto e accusati di aver sparato il colpo.
I due si dichiareranno innocenti sin da subito, sostenendo di non essere nemmeno presenti all’interno dell’istituto. Queste deposizioni saranno però in contrasto con quelle di Giuliana Olzai che riferì di averli visti uscire velocemente dopo lo sparo.
A favore delle dichiarazioni dei due presunti colpevoli c’era solamente la registrazione dei primi interrogatori di Gabriella Alletto, in difficoltà nel vedere le immagini. Dopo anni di processi, il 15 dicembre del 2003 la Corte di Cassazione condannò Giovanni Scattone a 5 anni e quattro mesi e Salvatore Ferraro a 4 anni e due mesi: il primo con l’accusa di omicidio colposo e il secondo con l’accusa di favoreggiamento.
Ancora oggi il movente resta un mistero: alcuni studenti testimoniarono che “il delitto perfetto” era stato un argomento presente durante alcuni discorsi dei due assistenti universitari e che i due studenti avessero voluto inscenare un delitto senza movente. Altri pensarono che il loro agire fosse stato influenzato dal film Schindler’s List, che era stato trasmesso qualche giorno prima dell’omicidio.
Dopo 26 anni dal delitto i due si dichiarano ancora innocenti.
Ciò che non viene raccontato nel documentario è la vita che i due colpevoli conducono dopo aver scontato le loro pene.
Salvatore Ferraro è oggi un saggista e uno scrittore. Dopo la pena è divenuto militante del Partito Radicale; si è dedicato all’assistenza legale riguardo casi di morti per abuso da parte di pubblici ufficiali; scrive un libro dove critica l’istituzione carceraria definendola ‘inutile’; svolge anche il lavoro di giurista e avvocato penalista.
Giovanni Scattone è un filosofo italiano. Dopo la condanna lavora come docente; scrive due libri filosofici; lavora come traduttore, correttore di bozze e ghost writer.
Da ciò che sappiamo, Ferraro e Scattone, non sono stati privati dei loro diritti politici e civili e conducono una vita normale, la stessa vita che avrebbe voluto condurre Marta Russo, ma di cui è stata privata proprio dai due.
Qualcuno reclama ancora giustizia, altri si domandano se la pena sia stata proporzionata. Sicuro è che è stata spezzata una vita innocente arrecando dolore alle famiglia.
Crediti immagine in evidenza Rai Play
Sofia Guccione
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Sofia Guccione, nata a Canicattì il 15 maggio del 2001, frequenta il liceo linguistico per poi intraprendere gli studi universitari presso l’università di Catania in scienze della comunicazione. Si definisce testarda e sbadata ed ha una grande passione nella vita: dormire. Quando riesce a stare sveglia si impegna a studiare per raggiungere la tanto ambita laurea, anche se chiaramente ama procrastinare. Adora guardare documentari, soprattutto di genere crime (probabilmente sarebbe più brava ad organizzare un atto criminale piuttosto che a cucinare)e gli animali, gli unici esseri viventi che riescono farla diventare stupida. Definita da molti strana per il suo carattere lunatico, è sicuramente una persone complessa, ma da scoprire.