Nicolò Peralta in punto di morte lasciò eredi le tre figlie Giovanna, Margherita e Costanza, dichiarando che non potessero sposarsi senza il consenso del Re Martino. Appresa la morte di Nicolò, Re Martino venne a Sciacca, presso il Castello Nuovo e per garantirsi la fedeltà della famiglia decise di dare in moglie la secondogenita Margherita Peralta allo zio Artale di Luna, fratello di sua madre Maria di Luna regina d’Aragona: da queste nozze avrà inizio il famoso Caso di Sciacca.
Una lunghissima fase della città che durò dal 1400 al 1529 con un danno che da fiorente che era la ridusse in uno stato di miseria e di abbandono senza eguali, caratterizzandone la vita nei secoli successivi.
Ma entriamo nel vivo della vicenda, iniziamo col dire che di Margherita era innamorato Giovanni Perollo, barone di Pandolfina.
Nel 1401, morta Maria, il re d’Aragona Martino il Vecchio impose al figlio di sposare Bianca di Navarra. Sotto Martino I il Giovane prevalse una nuova classe dirigente composta da gente venuta al seguito dei Martini. Nel 1408 Martino il Giovane effettuò una spedizione in Sardegna per conto del padre, ma ciò gli costò la vita; logorato dalla malaria contratta nelle paludi sarde, si spegneva a Cagliari il 25 luglio del 1409, all’età di 33 anni.
Pur essendovi in Sicilia Federico di Luna, figlio naturale di Martino I, la successione passò dal figlio al padre, cioè a Martino II il Vecchio. Morto dopo una lunga malattia nel 1410, rimase a governare l’isola come vicaria la nuora Bianca di Navarra. Per il biennio successivo la Sicilia conobbe una nuova guerra civile per lo scontro del partito legato a Maria con quello favorevole al gran giustiziere Bernardo Cabrera.
Durante i secoli si successero tra gli altri Giovanni d’Aragona, Ferdinando il Cattolico, Carlo V.
Nel 1529 riesplose il Caso di Sciacca, frutto di odi baronali, quando il conte Sigismondo Luna uccise il barone Giacomo Perollo, i suoi partigiani e la guarnigione inviata dal Re a Sciacca per mantenervi l’ordine. Il Luna fu così spietato da accanirsi anche contro il cadavere del suo nemico, trascinato per le vie di Sciacca legato alla coda di un cavallo. Per queste efferatezze egli fu contestato da molti dei nobili siciliani e dovette fuggire dalla Sicilia, rifugiandosi presso lo zio, Papa Clemente VII, ed a Roma morì gettandosi nel Tevere per non aver ottenuto il perdono di Carlo V.
Altro grave problema di questo periodo fu l’imperversare nelle acque del Mediterraneo del pirata Dragut, uomo di eccezionale abilità e di inaudita ferocia.
Gli eventi calamitosi del Caso di Sciacca gettarono nella desolazione e nella miseria la cittadinanza: forse fu proprio una reazione a questi avvenimenti che fece registrare un numero straordinario di iniziative per la città.
Storia o leggenda? Ancora oggi per i vicoli riecheggia la voce e il racconto dei protagonisti.
Letizia Bilella
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