Secoli e secoli di diritti rivendicati e poi, successivamente, conquistati, racchiusi in un solo, semplice, sostantivo: suffragette. Ai suoi albori, con tale nome, si potevano inquadrare tutte quelle donne che, stanche dell’emarginazione alla quale erano costrette, chiedevano a gran voce l’estensione del diritto al voto, un tempo concesso solo al sesso maschile. Parliamo di un movimento di emancipazione che oggi viene citato senza molto impegno dai libri di storia, ma che ha dato il via ad un immaginario quanto mai rivoluzionario, che vedeva la donna non più come la padrona di casa, ma come un soggetto pari all’uomo e che, in quanto tale, poteva ambire agli stessi onori ed oneri.
Se l’immagine della donna è cambiata nel tempo, insomma, lo dobbiamo a quelle donne intraprendenti che decisero, in quel lontano 1869, di sconvolgere letteralmente la storia. Oggi, insomma, le suffragette vengono viste come eroiche paladine dell’orgoglio femminile, di quell’immaginario, oggi più reale che mai (anche se non al 100%), della wonder woman che può tutto. Ma è stato sempre così? Per i contemporanei di quell’epoca, a quanto pare, non proprio.
Brutta, cattiva, aggressiva e per il più delle volte sola. Era questo, in generale, l’immagine che si voleva dare di quelle donne che chiedevano un diritto ad oggi, inalienabile. Erano donne che sfogavano la propria rabbia per quel bacio mai ricevuto, per quell’aspetto mai attraente o per i troppi rifiuti ricevuti dai tanti uomini facoltosi del tempo. Erano donne inadatte, che, secondo quanto riportato dai vari mass media e (come si può vedere qui sotto) dalle tante cartoline che giravano all’epoca, rifiutavano di stare nel loro posto naturale: la casa.
E se queste donne, così forti e indipendenti, lottavano per i propri diritti, che accadeva all’uomo? Automaticamente, i ruoli si invertivano; così il bravo marito era costretto a sopportare i pianti infiniti dei bambini, cercando di barcamenarsi tra un tentativo culinario e le grida della perfida moglie che quasi lo segregava in schiavitù. Era un totale rovesciamento; poteva l’uomo veder calpestato il proprio orgoglio di capofamiglia e vedersi relegato alle faccende domestiche mentre la propria donna compiva la scalata sociale verso la parificazione? Non sia mai!
Immagini sconcertanti, non c’è che dire. Immagini che fanno accapponare la pelle per il forte sessismo che rappresenta e per il tentativo di manipolare il pensiero dei giovani uomini attratti da esse. Un tentativo di rovesciare la realtà dei fatti denigrando lo splendido lavoro tra i fornelli che ogni mamma, con amore, prestava per la propria famiglia. Vignette che non solo attaccano le suffragette, ma che scalfiscono quell’orgoglio che solo una vera donna poteva vantare.
Semplici cartoline? Giammai. Vere e proprie strategia denigratorie che colpiscono con un’immediatezza unica. Destinatario? Il popolo, che con la semplicità riceveva un messaggio distorto, fin troppo comodo per chi stava al potere. Oggi fanno pensare, scandalizzano o scatenano qualche “sorriso”, se si coglie l’assurdità di quel modo di comunicare. Ma siamo proprio sicuri di esserne esenti? Siamo proprio sicuri di non essere ancora soggetti a messaggi del genere? Magari un giorno saremo anche noi l’esempio da non seguire per generazioni future.
Francesco Mascali
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Proprietario, editore e vice direttore di Voci di Città, nasce a Catania nel 1997. Da aprile 2019 è un giornalista pubblicista iscritto regolarmente all’albo professionale, esattamente due anni dopo consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza, per poi iniziare la pratica forense presso l’ordine degli avvocati di Catania. Ama viaggiare, immergersi nelle serie tv e fotografare, ma sopra tutto e tutti c’è lo sport: che sia calcio, basket, MotoGP o Formula 1 non importa, il week-end è qualcosa di sacro e intoccabile. Tra uno spazio e l’altro trova anche il modo di scrivere e gestire un piccolo giornale che ha tanta voglia di crescere. La sua frase? «La vita è quella cosa che accade mentre sei impegnato a fare altri progetti»