Avrete sicuramente sentito della polemica sui sacchetti per l’ortofrutta dei supermercati impazzata su tutti i media nelle ultime due settimane. Chiariamo insieme alcuni punti di fondamentale importanza per i consumatori
Dal 1° gennaio è entrata in vigore la legge di conversione del DL 20 giugno 2017 n°91 “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno” approvata lo scorso 3 agosto. La legge, con l’articolo 9 bis, per recepimento della direttiva UE 720/2015, obbliga i consumatori al pagamento dei sacchetti di plastica biodegradabili di spessore inferiore a 15 micron, cioè quelli ultraleggeri utilizzati per l’ortofrutta e per gli alimenti freschi, sfusi.
Al posto dei normali sacchetti di plastica gli esercenti sono tenuti a fornire sacchetti biodegradabili, certificabili e compostabili con un minimo di contenuto di materia prima rinnovabile almeno pari al 40% che dovrà poi diventare pari al 50% nel prossimo 2020 e al 60% nel 2021. Inoltre la norma impone di indicare sullo scontrino il numero e il prezzo dei sacchetti utilizzati. Sebbene la legge non espliciti una cifra precisa per sacchetto, il prezzo potrebbe aggirarsi intorno a 1, 2 o massimo 5 centesimi cada uno.
Sembrerebbe che la nostra spesa sia destinata a lievitare. Sicuramente trattasi di un importo irrisorio che, però, potrebbe pesare sul bilancio di una famiglia media se calcolato in relazione alla spesa annuale. Se non fosse che, in realtà, nella pratica s’intende, i sacchetti li abbiamo sempre pagati solo che prima della legge (comma 5) non vi era l’obbligo per gli esercenti di batterne il prezzo sullo scontrino. Infatti tali sacchetti ultraleggeri e biodegradabili, utilizzati a contatto con gli alimenti, per una questione di igiene e protezione dei prodotti, come imballaggio primario, non riutilizzabili e sui quali vige divieto di portarli da casa, venivano, fino a ieri, pesati insieme al loro contenuto e quindi pagati come parte del prodotto.
Dunque vi chiederete: perché tante polemiche? Forse per ignoranza o per i giusti problemi organizzativi di adeguamento alla legge che riguardano gli esercenti, ma è bene sapere alcune cose. Innanzitutto la legge in questione ha un obiettivo nobilissimo: ridurre l’inquinamento da rifiuti plastici sulla terra e in mare.
Sicuramente per far questo è necessario obbligare i produttori di contenitori plastici a norme e regole che favoriscano l’uso di plastiche biodegradabili cioè che possano essere, in un tempo abbastanza ragionevole, degradate da funghi, batteri o gas naturali, in acqua o in biomassa. Oppure, ancora meglio, occorre appoggiare con leggi e norme la produzione di contenitori “bio-based” ossia in bioplastiche: plastiche in grande percentuale ottenute da biomasse o da materiali biologici come il legno o la carta e non da petrolio o carbone (componenti fossili). È necessario, poi, dare un valore a questi contenitori, anche solo simbolico, un prezzo irrisorio, insomma, che valorizzi l’oggetto, gli dia pregio al fine di responsabilizzare i consumatori e così limitarne il consumo smodato: lo spreco. Ecco quindi che la legge impone che il prezzo sia registrato sullo scontrino fiscale perché il sacchetto assuma il valore di un oggetto che prima pensavamo gratis e privo di valore economico. Esso è adesso, invece, nobilitato e finalmente notato dal consumatore che sarà portato a farne un uso più consapevole e oculato. Anche se questa misura contribuirà a diminuire solo di poco l’enorme ed esagerato consumo di plastica odierno, ad ogni modo sarà stato un piccolo passo importante per la salute del nostro pianeta.
Gilda Angrisani
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