La scienza lo conferma: c’è più di un motivo per cui si dicono le parolacce, da sempre additate e censurate. In primis, si tratta di un modo per scaricare lo stress e la rabbia, secondariamente è un buon metodo per resistere al dolore e, infine, può anche risultare un’arma di persuasione. La ricerca che ha dato man forte a questa tesi è stata svolta da Richard Stephens, docente presso la facoltà di psicologia della Keele University. L’esperimento condotto ha visto la partecipazione di 64 studenti, ai quali è stato chiesto di immergere la mano in acqua gelata e tenerla lì il più a lungo possibile, ripetendo nel frattempo una parolaccia a scelta. Successivamente, i protagonisti hanno ripetuto l’esperienza, sostituendo però al turpiloquio una più pacata ed educata descrizione di un tavolo. Alla fine del test è emerso che il pronunciare scurrilità varie ha di fatto aiutato i volontari a sopportare maggiormente il dolore provocato dall’immersione in acqua ghiacciata, spingendoli dunque a resistere più a lungo rispetto alla seconda volta, in cui sono state invece pronunciate parole di “uso comune”.
La ricerca del dottor Stephens mette, così, in luce una sorta di collegamento tra sofferenza fisica e parolacce, che meglio si chiarifica se si pensa alle donne durante il parto, le quali spesso gridano ingiurie mentre partoriscono e in seguito, magari, se ne vergognano. Allo stesso modo le brutte parole vengono pronunciate in situazioni di pericolo e disperazione, come afferma lo stesso Stephens:«Le stesse ingiurie risuonano dalla cabina di pilotaggio nella scatola nera di aerei caduti in disastri di vario tipo. È una delle prove che le parolacce, per quanto scandalizzino, sono la lingua della vita e della morte, scandendo ogni momento della nostra esistenza». L’effetto analgesico delle parolacce deriverebbe dall’aumento dei livelli di aggressività scatenati dalle imprecazioni: arrabbiarsi aumenta la frequenza cardiaca, stimola la produzione di adrenalina e innalza la soglia di sopportazione del dolore.
Naturalmente, ciò non legittima la volgarità gratuita in quanto “sfogo naturale e necessario”, ma apre un interessante spunto su quali siano le motivazioni profonde di una pratica in realtà molto antica: le parolacce sono, infatti, presenti nella storia umana fin da sempre, tant’è che già nell’antichità erano conosciute e usate. Autori classici come Aristofane in Grecia e Dante durante il Medioevo utilizzavano nelle proprie opere qualche termine non proprio ortodosso, per rimanere maggiormente legati al linguaggio della vita reale: non bisogna, dunque, stupirsi se le parolacce hanno una così consistente presenza nell’esistenza di tutti i giorni. Sta al buon senso di ciascuno capire quando non è affatto lecito lasciarsi andare e quando, invece, utilizzare gli studi condotti al riguardo per comprendere meglio una reazione linguistica così spontanea all’ interno della nostra quotidianità.
Lorena Peci
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