Il mondo della musica, quello del successo, è una strada molto difficile da intraprendere. Se poi si hanno meno possibilità degli altri o se si è svantaggiati dal punto di vista legislativo, allora la questione si fa ancora più complessa. Domenico Coduto e Pino Pecorelli hanno creato, nel quartiere di Tor Pignattara, un’orchestra che apre le porte agli italiani di seconda generazione.
L’idea della Piccola orchestra di Tor Pignattara la spiega il direttore Pino Pecorelli: la musica di successo è frutto di contaminazioni e convivenze. «Farrokh Bulsara, noto come Freddie Mercury, da Zanzibar si trasferisce nel Regno Unito e fonda i Queen. L’artista greco-cipriota Georgios Panayiotou fonda i Wham! e poi prosegue la sua carriera come George Michael. Bob Marley, il principe della musica giamaicana, ha una madre giamaicana e un padre britannico, Bob Dylan aveva nonni lituani e ucraini». Il contatto tra diversi stili e culture è assolutamente produttivo in ambito musicale.
La piccola orchestra è nata in una saletta prove di periferia nel 2012 grazie a Domenico Coduto, produttore e musicista. «Volevamo creare un’orchestra di giovani professionisti che avessero origini diverse: è nato tutto come un laboratorio e si è trasformato in un progetto professionale vero e proprio». Oggi il gruppo conta una ventina di ragazzi tra i 15 e i 22 anni, dei quali un terzo non ha la cittadinanza italiana anche se è nato entro i confini nazionali. Ognuno di loro ha una storia da raccontare, una passione da esprimere, un’idea propria di musica. Nonostante le origini differenti riescono a dar vita ad un’armonia perfetta, ormai sono cresciuti insieme nel quartiere romano.
Simone Ndiaye ha 19 anni ed è il bassista dell’orchestra. Ha le idee molto chiare sulla funzione del suo strumento. «Il basso tiene il ritmo e dà il senso al resto del gruppo», spiega. Mohammed Dia è uno dei coristi, non ha ancora potuto chiedere di diventare cittadino per i limiti imposti dalla legislazione italiana. Yusif Tutuji Tahiru è uno dei cantautori del gruppo, da ragazzino ha affrontato da solo il viaggio per arrivare in Europa dal Ghana. «Mi piace scrivere più di quanto non mi piaccia parlare», dichiara. Il testo dell’ultimo singolo Better Days se lo era appuntato sul telefonino. Come loro, anche gli altri musicisti e cantanti hanno la stessa grande passione nel raccontarsi.
Il direttore sostiene che in Italia la musica sia troppo poco usata nei contesti educativi. Per gli adolescenti è un conforto, un modo per esprimersi, è condivisione. «Io ho imparato tantissimo da loro sulla convivenza: le parole integrazione o tolleranza sono superate per loro, non hanno senso. Avremmo tutti da imparare dalla leggerezza con cui si accettano», spiega Pecorelli. Non vuole che i suoi ragazzi si adagino sull’idea che sono degli svantaggiati perché sono di origine straniera o perché vivono in periferia. Si impegna affinché riescano a produrre musica di qualità e ottengano riconoscimenti. Poco tempo fa, infatti, sono riusciti ad esibirsi a Radio3.
Negli anni l’orchestra è migliorata, il percorso sta continuando e ci vorrà tempo perché i ragazzi maturino e trovino la propria dimensione nel mondo della musica. Intanto sono diventati compositori e autori dei brani che eseguono. «Mamma, perché dovrei scappare da questa terra di misericordia e trovare la pace in una pistola? Non ci saranno più scuole senza cibo, niente più piedi senza scarpe. Dai, verranno giorni migliori». La canzone recita queste parole, una speranza di cui i ragazzi sono fortemente convinti: i giorni migliori devono ancora arrivare.
Sara Tonelli
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