Cacio e pepe e poi amatriciana, gricia e carbonara: questi piatti sono imparentati. La loro è una vera e propria storia di famiglia, perché discendono tutti da una sola ricetta: la Cacio e Pepe, specialità romana, apparentemente semplice e amata in tutto il mondo.
Iniziamo dalla cacio e pepe. La storia di questo piatto, simbolo della romanità, nasce tra i pascoli. Durante i lunghi spostamenti del gregge (transumanza), i pastori dell’agro-romano riempivano la bisaccia di alimenti calorici e a lunga conservazione. Tra i pomodori secchi e il guanciale di maiale essiccato trovavano spazio anche qualche fetta di cacio pecorino, un sacchetto di pepe nero in grani e una buona quantità di spaghetti essiccati preparati a mano con acqua, sale e farina.
Come anticipato, la ricetta sembra semplice, in realtà occorrono alcuni accorgimenti:
– utilizzare solo pecorino romano;
– mai aggiungere nè la panna nè il burro;
– cuocere la pasta in metà dell’acqua che si usa solitamente e scolarla al dente (calcolare sempre 2 minuti in meno rispetto ai tempi di cottura).
La tipologia di pasta più indicata sono per questo piatto i tonnarelli, variante locale dei maccheroni alla chitarra abruzzesi (una varietà di pasta all’uovo tipica della cucina abruzzese).
Tradizionalmente si ottengono attraverso l’utilizzo della chitarra: uno strumento formato da corde tese su un telaio che serve a tagliare la sfoglia di pasta in spaghetti dalla sezione quadrata. Ma vanno bene anche gli spaghetti.
Trovate la ricetta tradizionale QUI.
La gricia (o griscia) è madre dell’amatriciana. Chiamata anche “amatriciana bianca” è, appunto, l’evoluzione della cacio e pepe, per l’aggiunta del guanciale. Quindi, mai usare la pancetta!
Prende il nome dal paese in cui ha origine, Grisciano, piccola frazione di Accumuli, in provincia di Rieti, al confine con le Marche. Secondo un’altra teoria, il nome potrebbe derivare da “Gricio”, modo in cui nella Roma del ‘400 venivano soprannominati i panettieri, spesso provenienti dalle regioni tedesche.
La gricia tradizionale si prepara con i bucatini, gli spaghetti, le mezze maniche ed infine i rigatoni: perfetti per raccogliere il condimento all’interno delle rigature.
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La prima ricetta dell’amatriciana viene riportata da Ada Boninel celebre autrice del libro “Il talismano della felicità”, 1927.
Figlia della gricia, con l’aggiunta della salsa di pomodoro, prende il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti. L’amatriciana, dunque, approdò a Roma nel 1870, quando la signora Anna De Angelis si trasferì nella capitale, vicino alla vecchia Stazione Termini. Lì cominciò a preparare, con ingredienti modesti, i famosi bucatini all’Amatriciana per alcuni ortolani di passaggio.
L’amatriciana esiste in diverse varianti, tutti concordano sull’uso del guanciale, mentre differiscono le opinioni sul pomodoro, che può essere fresco, in scatola o concentrato. Per i puristi della amatriciana la cipolla è un’eresia. La cipolla non è, infatti, usata ad Amatrice, ma in tutti i manuali di cucina classici romani è d’obbligo.
È consuetudine condire con l’amatriciana: bucatini, spaghetti, vermicelli o rigatoni.
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Fino agli anni Trenta non c’è traccia della preparazione della carbonara a Roma, questa ricetta comparì a partire dal 1944, motivo per cui in molti ne attribuiscono la paternità agli Alleati americani amanti del guanciale, poiché molto simile al loro amato bacon. Secondo alcuni il nome deriva da quello di un noto cuoco romano. Secondo altri, sembra far riferimento alla tradizione: si racconta, infatti, che venne chiamata carbonara pensando ai boscaioli che lavoravano sugli Appennini raccogliendo la legna per farne carbone.
Sulle uova ci sono diverse scuole di pensiero, c’è chi le utilizza intere e chi solo in tuorli, ma fondamentale è non aggiungere la panna. Ogni volta che si aggiunge la panna ad una carbonara, un romano muore! Per la preparazione si può utilizzare la pasta corta, soprattutto rigatoni o mezze maniche, oppure i classici spaghetti.
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Tutte e tre queste specialità vengono preparate utilizzando pepe, pecorino romano, olio extravergine di oliva, la pasta va avvolta in un condimento cremoso mantecato come fosse un risotto con la giusta dose di acqua di cottura. Buon appetito!
Selene Coccato
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