Nei giorni prima di essere ghigliottinata, Maria Antonietta smette di mangiare ed è dilaniata da tremende emorragie. Al suo servizio c’è Rosalie Lamorlière, la quale nelle proprie memorie ricorda una sovrana dolce e gentile, in pena per la sorte del suo bambino – che sarà, poi, murato vivo per ragioni politiche. Quarant’anni dopo la tragedia, quando mostrare compassione alla regina non è più un reato gravemente punito, Madame Simon Vouet parte alla ricerca di tutti coloro che sono stati vicini alla monarca durante le sue ultime ore di vita e trova Rosalie, della quale raccoglie un’intervista:
M.me Vouet: «Sarà stata molto riconoscente nei vostri confronti la duchessa d’Angoulême, visto che siete l’unica persona al mondo che le può riferire l’eroica fine di sua madre?»
Rosalie: «Godo ancora dei benefici che mi ha accordato la duchessa d’Angoulême (una pensione di 200 franchi all’anno sospesa dopo la monarchia di luglio), ma vi rinuncerei volentieri se potessi incontrare personalmente almeno una volta la figlia di Madame (la Regina, ndr.). In realtà non ho fatto nulla per meritare tanto».
M. V.: «Maria Antonietta è sempre stata dipinta come una donna cattiva e vendicativa dai suoi detrattori; come si comportò durante la prigionia? Manifestava odio o sentimenti di vendetta?»
R.: «Non l’ho mai sentita lamentarsi né della sua sorte né dei suoi nemici, e la calma delle sue parole era riflessa anche nel suo atteggiamento. Tuttavia, nella sua tranquillità c’era qualcosa di solenne e profondo, tanto che, quando dovevamo entrare nella sua cella, sia io che M.me Richard restavamo per rispetto alla porta, in attesa che con la sua voce dolce e graziosa ci dicesse di entrare».
M. V: «Parlava mai della morte di suo marito Luigi XVI? Temeva per la sua vita?»
R.: «Era sempre molto tranquilla e credo fosse certa che sarebbe stata rimandata in Austria coi suoi figli».
M. V.: «Secondo voi questa calma poteva essere portata dall’assuefazione alla sofferenza dovuta alla lunga prigionia?».
R.: «La sua gentilezza era estrema e non perdeva occasione per ringraziare per le poche cure che riceveva. Portava all’interno del suo corsetto un ritratto del giovane re (il delfino Luigi Carlo) e una ciocca dei suoi capelli nascosta all’interno di un guantino di pelle giallo, appartenuto al bimbo. Spesso la vedevamo sedersi sul suo misero letto, baciare questi oggetti e piangere amaramente. Le si poteva parlare della sua condizione senza che la cosa la toccasse, ma, quando si faceva riferimento ai suoi figli, l’idea di abbandonarli per sempre la faceva disperare. Le emorragie di cui soffriva non le davano tregua, tuttavia ci supplicava di non fornirle alcuna cura, poiché ella ignorava la causa di questo male e pertanto tutto sarebbe stato inutile. La sua cella veniva perquisita brutalmente e l’orologio che aveva alla parete le fu strappato via, mentre non so che fine abbia fatto il medaglione col ritratto di suo figlio che ha portato fino all’ultimo giorno».
Dopo queste parole, Rosalie racconta alla sua intervistatrice le ultime ore di Maria Antonietta. La notte che anticipa l’esecuzione è insonne per la monarca, alla quale vengono concesse un paio di candele per poter scrivere il testamento; gli occhi scrutatori e vigili dei gendarmi, come da diverso tempo ormai, non la abbandonano un solo secondo, neanche per permetterle di cambiarsi d’abito. In quella notte, la regina scrive «Avevo degli amici; l’idea di essere separata da loro per sempre, e delle loro conseguenti sofferenze, è uno dei più grandi dolori che porto con me nella tomba; sappiano che nei miei ultimi momenti, penso a loro». E chissà se in queste parole si cela un ultimo pensiero al conte Fersen, al quale si è premurata di dare l’estremo saluto mesi prima: Maria Antonietta, infatti, incontrando il generale De Jarjayes al Tempio, consegna a questi un anello con su scritto «Tutto a te mi guida», pregandolo di recapitarlo all’amante svedese.
All’alba del 16 ottobre 1793, i tamburi svegliano l’intera capitale e appena due ore dopo numerosi soldati armati stazionano le vie in cui passerà la condannata. Alle ore 8, alla donna poco più che trentenne vengono tagliati i lunghi capelli, divenutile bianchi per il terrore causato dalla furia rivoluzionaria; i carnefici le proibiscono di vestirsi di nero perché quello in corso non è un giorno triste per la Francia, ma dimenticando forse che è il bianco il colore del lutto dei sovrani francesi. Così, Maria Antonietta, vestita d’abiti candidi, compie la sua “passeggiata ignominiosa” a bordo di un tremolante carretto che la conduce a mani legate sino alla piazza dell’esecuzione, mentre il popolo la oltraggia con urla brutali. Superate le strade popolane, il pubblico ammutolisce per rispettare le silenziose preghiere della condannata, pallida e regalmente composta . Si dice che, salendo sul patibolo, la donna abbia chiesto scusa al boia per avergli pestato i piedi. Alle 11:30 la lama della ghigliottina uccide la sovrana e alcuni sostengono di aver visto i suoi occhi muoversi nonostante la testa sia staccata dal corpo. Dopo che la notizia giunge in Svezia, il Conte Fersen comincia a vagare per tutta l’Europa nella speranza di raccogliere quanti più ricordi possibili dell’amata: «Il mio dolore è al colmo e non so come possa esistere ancora, non so come reggo al mio tormento che è estremo, che nulla mai potrà cancellare: sempre l’avrò presente nella memoria e sarà soltanto per piangerla…perché non sono morto accanto a lei e per lei quel 20 di giugno?»
Claudia Rodano
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