Carla racconta: «In Portogallo, così come in tutta Europa, si pensava che il problema fosse circoscritto prima alla Cina e poi all’Italia. Ma poi in laboratorio mi dissero di conservare in frigo i campioni su cui avevamo lavorato fino a quel momento. Ero certa che non sarei stata io a conoscere il risultato di quelle ricerche».
«Normalmente sono socievole e parlo con tutti, ma stavolta no. E non ero l’unica. Ci guardavamo l’un l’altro sperando di non avere in comune la stessa meta. Invece, l’aereo era quasi pieno e noi eravamo abbastanza vicini. Mai mi aveva infastidito tanto il contatto fisico con gli sconosciuti».
Questa è la testimonianza di Carla, neo-laureata in farmacia e appassionata di ricerca scientifica. Si era cimentata in una esperienza Erasmus già l’anno scorso. Per lei non era abbastanza, quindi non si è lasciata sfuggire una seconda possibilità. Νοn avrebbe pensato di dover andare via da lì senza aver prima salutato i posti e le persone del cuore. Infatti, lo scorso 23 marzo, quando c’era ancora tempo e modo, la partenza dalla capitale portoghese, seppur con qualche stupore: «Quello che mi ha sorpreso è che sia a Lisbona che a Roma venivano diffuse le raccomandazioni e le misure di sicurezza attraverso gli altoparlanti. Tuttavia al gate c’erano tantissime persone: famiglie, anziani, studenti e non». Una scelta, quella di tornare, presa con dopo lunghe riflessioni e il cambiare degli eventi: «Inizialmente, noi ragazzi Erasmus pensavamo che rimanere fosse la soluzione migliore. Poi, però, c’è stata la ricerca disperata dei voli verso casa». Spiega Carla.
E aggiunge: «Pure in Portogallo il passaggio è stato graduale». Così come in Italia, anche lì sono state chiuse prima scuole e università. «Il laboratorio, però, non accusava alcun colpo: continuavamo a sperimentare e io a imparare perseguendo i miei obiettivi. Lentamente, però, sono venuta a conoscenza dell’impossibilità. Inizialmente pensavo potesse essere un’occasione, un vantaggio. Il governo italiano, infatti, aveva varato le prime misure restrittive. Ma anche a Lisbona il 18 marzo chiudevano pub, bar, ristoranti, botteghe e negozi. Gli unici a resistere erano ovviamente farmacie e alimentari, il cui orario di apertura poi fu ridotto».
Insomma, da un momento all’altro tutto aveva assunto l’aspetto di una quarantena inattesa. E da lì l’interrogativo su cosa sarebbe stato meglio fare. «I miei coinquilini erano diventati la mia (seconda) famiglia: ci impegnavamo reciprocamente a farci compagnia. Pranzi e cene insieme mi avevano permesso di conoscere odori e sapori sconosciuti». Insomma, chi pensa che anche lontano da casa non si possa trovare famiglia si sbaglia.
Tornare o non tornare? Quello era il dilemma. «L’OMS qualifica l’infezione da coronavirus una pandemia, lì ho avuto paura che potesse succedere qualcosa a me o ai miei cari. Garantisco: non sono ipocondriaca! Ma ancora di più risultava opprimente non potere fare ciò che, almeno fino a quel momento, davo per scontato: spostarsi liberamente da una parte all’altra dell’Europa. Ho contattato l’università di provenienza, la quale consigliava di iscrivermi sul sito dell’unità di crisi della Farnesina: ViaggiareSicuri. In questo modo sarei stata avvisata qualora lo Stato ospitante si fosse imbattuto in una situazione di emergenza». La neo-dottoressa, però, si sentiva (ed era) al sicuro. Il Portogallo non stava affrontando ancora una “crisi sanitaria”, riuscendo ad assicurare a tutti (cittadini e non) le cure eventualmente necessarie.
Ma Carla continua: «Ho deciso di chiedere all’ambasciata italiana la modalità di “rimpatrio”. Quella prospettatami era la triangolazione: transito da e per aeroporti in stati i cui collegamenti non avevano subito grosse compromissioni. Il rischio era quello di non poter ripartire dalla città in cui avrei fatto scalo e di essere esposta ai pericoli che la permanenza in questi luoghi comporta».
Quindi, trovare la soluzione per tornare ad abbracciare mamma e papà diventava sempre più difficile. «Avevo quasi abbandonato l’idea che potesse succedere nel breve termine: era il modo migliore per salvaguardare la salute di chi amo». Quasi… però! «L’ambasciata italiana, su richiesta di numerosi studenti, mi diede la notizia di un volo aereo individuato dalla Farnesina. L’itinerario di viaggio era Lisbona-Roma e dalla capitale verso casa. Ciò che mi sorprese di più, lo ammetto, furono i prezzi e il viaggio a carico nostro!».
Sicuramente la situazione in Portogallo non era allarmante come quella di altri Paesi europei e dell’Italia. In caso contrario, seguendo le disposizioni di contenimento e sicurezza, difficilmente la Farnesina e il governo avrebbero permesso a Carla e ad altre persone di far rientro in Italia. Quello che conta è che oggi Carla è a casa e in quarantena. Una dimostrazione di buon senso, lo stesso che dovrebbero avere in molti per uscire il prima possibile da questo periodo di crisi. Infine, la ex studentessa di Farmacia, se potesse dare un consiglio a chi si trova ancora all’estero, direbbe: «State a casa, rimanete dove siete!».
Nessuno avrebbe mai voluto che smettere di stringersi l’uno con l’altro sarebbe diventato il nuovo modo per dire “ti voglio bene”. Ma davanti a questo microrganismo, che ha messo in ginocchio il mondo intero, possiamo fare poco o nulla. Perciò, non resta che avere speranza e pensare che… #andràtuttobene.
Maria Giulia Vancheri
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Maria Giulia, che in una parola si definisce logorroica, è una studentessa 24enne di giurisprudenza, a Catania. Dopo anni passati sui libri ha pensato bene di iniziare a scrivere per non infastidire più chi non volesse ascoltare le tante cose che aveva da dire. Riconosce di essere fashion… ma non addicted. Ama il mare e anche durante la sessione estiva non rinuncia alla sua nuotata giornaliera, che le rinfresca il corpo e i pensieri.
Crede fermamente che chi semina amore, raccolga felicità