“Che mondo sarebbe senza cellulare”? Una volta questo slogan, come sappiamo, era legato particolarmente alla tanto cara crema spalmabile alle nocciole di cui è impossibile fare a meno, mentre oggi, possiamo tranquillamente affermare che l’oggetto da cui è “inammissibile” distaccarsi è proprio lo smartphone – o il tablet, seppur in netta minoranza. Fenomeno che, tuttavia, non ha coinvolto, o coinvolge, solamente gli adolescenti e gli adulti che si trovano a vivere questo profondo cambiamento tecnologico, ma soprattutto i bambini dai due anni in su (insomma, l’età dell’apprendimento). Sempre più infanti si approcciano a questo mondo in fase tenerissima, e i risultati sono, ormai, lampanti e inevitabili: ritardo del linguaggio, dell’articolazione motoria, difficoltà nella deglutizione e masticazione (specialmente se figli di genitori piuttosto pigri, o troppo impegnati e che non hanno tempo per svezzarli regolarmente), e svogliatezza nel concludere qualcosa.
Come riporta intreccio.eu, tutte queste problematiche derivano, appunto, da un uso eccessivamente prematuro – nonché prolungato – del cellulare, con bambini non più in grado, benché dotati di spiccata intelligenza, di interloquire correttamente con altri bambini come loro; di, addirittura, giocare a palla o andare in bicicletta con gli amichetti, o di mangiare da soli perché troppo occupati a guardare un video o a giocare con il videogame di turno. Per non parlare dell’utilizzo di ciuccio e pannolino, accresciutosi, in questi anni, fino a, quasi, la quinta elementare (per evitare che i figli non dormano, ecco).
Come facilmente deducibile, la colpa di tutto questo è di mamma e papà, le colonne portanti della vita di un uomo e una donna che si affacciano alla maturità. Quest’ultima, non a caso, macchiata proprio dalla mancanza di tempo e spazio per loro. Secondo, infatti, le logopediste dell’ospedale Buccheri La Ferla di Palermo – coloro occupatesi della ricerca in questione –, sono troppo frequenti risposte, da parte dei genitori, come “non ho tempo”; stesso atteggiamento, purtroppo, attuato con i ragazzi anagraficamente più grandi e che, difatti, fanno registrare, sempre più spesso, casi di balbuzie (specialmente se troppo legati ai social network, oltre che al telefonino). Cosa fare è difficile da dirsi, i casi sono sempre a sé stanti, ma se si riconsiderano tutte le circostanze, la soluzione al problema sembrerebbe avere un solo nome: attenzione. Attenzione alle esigenze di un figlio, che all’apparenza, potrebbe anche farcela da solo, ma nel mondo di oggi, se non dotato di basi solide, tendente a crollare immediatamente. E forse, alla resa dei conti, si stava davvero meglio quando si stava peggio.
Anastasia Gambera
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