La bellezza ha sempre avuto un peso significativo nella società, dall’antichità fino ad oggi. Possiamo accorgercene guardando i diversi modelli estetici che spesso propongono le pubblicità o che semplicemente vediamo nei social, come forme propizie di riferimento.
Possiamo attraversare la storia del passato per constatare quanto nelle varie epoche questo concetto abbia avuto un impatto incredibilmente potente. Basti pensare che lo stereotipo di bellezza é nato già nell’antica Grecia, con i suoi modelli convenzionali di proporzione e armoniosità.
Adesso vediamo quali sono le diverse interpretazioni date in campo filosofico rispetto al modello di “bello” promosso dalla società.
Se guardiamo all’etica del filosofo greco Platone, potremmo rispondere che la bellezza sia qualcosa di universale: é contenuta nell’oggetto. Per lui, neanche la cosiddetta “soggettività” è davvero un fattore individuale, in quanto viene influenzata comunque da un inconscio collettivo che altro non è che il senso comune della società che si ripercuote nei modelli stilistici di “valore”.
Sempre a Platone si riconduce l’idea, quindi, che la bellezza sia idillicamente adiacente alla bontà in quanto i caratteri estetici di una persona ci dicono anche il contenuto interiore di quest’ultima, dunque su quanto sia buona o, diversamente, cattiva.
Un altro abile interprete del concetto di bellezza fu senz’altro Socrate, il quale pensava che la bellezza fosse strettamente correlata all’utilità, ossia a tutto ciò che ha che fare con quello che percepiscono i sensi: udibile alle orecchie, visibile agli occhi, olfattivo rispetto al naso, tangibile al corpo e gustativo alla bocca.
Un po’ più romantico fu invece Aristotele nel pensare al concetto di “catarsi“ per spiegare la bellezza. La catarsi è tutto quello che si prova guardando ciò che piace, il che dona un senso di purificazione e di elevazione dello spirito, come forma di piacere estrema. Anche qui si direbbe che la bellezza sia puramente un fatto soggettivo.
È pure vero che se ci mettessimo a studiare le diverse fasi storiche ci accorgeremmo l’atteggiamento dell’uomo rispetto alla bellezza cambi a seconda di quella che è l’ideologia dominante.
Per esempio, i Romani erano soliti associare la bellezza al potere e alla ricchezza: questo spiega il motivo per cui la stessa politica spesso incide nell’affermare una realtà che sia uguale per tutti come, ad esempio, lo stile di vita borghese che è emerso a partire dal XX secolo, a seguito della Rivoluzione industriale e tecnologica che ha dato vita a una modernità in pieno sviluppo che ci ha portati erroneamente a credere di avere tutto sotto controllo, compresa la nostra stessa immagine esteriore.
Ci illudiamo spesso guardando le foto o la copertina di un giornale che le persone ricche possano fare quello che vogliono, compreso ricorrere alla chirurgia plastica per coprire quei difetti che altrimenti non avrebbero modo di essere corretti. Pensiamo che quella sia la vera felicità, dimenticandoci, invece, dell’artificiosità che sta dietro le cose.
Alla fine sono prodotti che lo stesso uomo ha creato per dare un’immagine stereotipata di ciò che si chiamerebbe “realtà”, anche se rimane dubbia l’autenticità di quanto viene etichettato come “naturale”.
Non possiamo controllare la nostra immagine di continuo o pretendere che il nostro corpo piaccia a tutti. Sembra assurdo se ci pensiamo. Forse è, come dicevano Socrate e Aristotele, sui sensi che dovremmo basare la nostra vera percezione e non sul sentito dire.
Infine, un quesito fondamentale che siamo soliti domandarci è: La bellezza ha lo stesso valore sia per uomini che per donne? Ebbene, a questo la scrittrice Giulia Blasi risponde elencando, nel suo libro intitolato “Brutta. Storia di un corpo come tanti”, una valanga di sinonimi italiani (locali e non) di “brutto”, usati sia per il maschile che femminile.
Nella varietà di termini, è straordinario notare come manchi la presenza di un corrispettivo maschile da associare allo stesso significato delle parole: “Racchia, cessa, chiavica, ciospa, cozza, cinghiale, scorfano, cofano, paracarro, strega, mostro, nutria. La donna brutta ha più nomi di Dio. Rutto, tegame, bidone, boiler, citofono, trabògano, copriruota, parafango, busta de fave o de piscio. La maggior parte di questi epiteti non ha un equivalente maschile, neanche quando la parola lo è. Il bersaglio, alla fine, sono quasi sempre le donne” afferma Blasi.
La stessa studiosa affronta, infine, tutti coloro che provano a dare per scontato che esista una parità estetica standard sia per uomini che per donne affermando: “Se l’uomo è brutto, nessuno ci fa caso, perché occupa comunque un ruolo importante nella società in quanto privilegiato per il suo stesso genere e sesso biologico”.
Questo allude al fatto che sia che si dica di una donna “bella” o “brutta”, cambia poco in merito alla sua posizione sociale: “Semmai quella bella può trovare più posti di lavoro, ma rimane comunque sottomessa al genere uomo”.
Risulta altrettanto difficile in un mondo in cui, per dirla alla Nietzsche, “La morale ha standard estetici”, discostarci da parametri convenzionali che hanno un certo peso sulla valutazione e accettazione dell’individuo. La domanda che dunque viene spontaneo porci è: quanto effettivamente importante risulta, in termini di valore, il giudizio esterno sulla nostra condotta morale quando questa è così influenzata dalle apparenze? Non è facile rispondere e per questo, come direbbe il poeta tedesco Reiner Maria Rilke, “Bisogna vivere le domande ora, per avere un giorno lontano le risposte”.
Marina Zambito
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Ciao a tutti, io sono Marina e ho 21 anni. Mi piace definirmi come persona curiosa e anche un po’, ma leggermente, chiaccherona. Amo prendermi cura dei dettagli e se ve lo steste chiedendo, sì..sono piuttosto perfettina, ma non troppo esagerata. Con questa esperienza mi auguro di fare qualcosa di buono soprattutto per voi e, in fondo, anche per me stessa. Adesso, non resta che sperimentare. Buon divertimento a noi!