Chi si fosse mai chiesto come nasca l’introduzione dell’anno bisestile, dovrebbe approfondire le proprie conoscenze riguardo la storiografia romana. Pare, infatti, che la strana e spesso inspiegata invenzione de “il giorno in più” sia da attribuire addirittura a Giulio Cesare, nel 46 a.C. Durante la sua reggenza della Repubblica di Roma, Cesare, che ricopriva anche il ruolo di pontefice massimo, si trovò davanti ad un problema quanto mai tecnico: recuperare le ore di scarto rispetto all’anno solare, che durava 365 giorni e 6 ore. Assistito dall’astronomo Alessandrino Sisogene, il princeps introdusse un nuovo calendario, denominato “Giuliano”, dal nome di un noto condottiero dell’epoca.
L’anno bisestile romano, etimologicamente parlando, prende il nome dall’espressione latina “bisextus”: due volte sesto. Infatti, l’anno bisestile romano prevedeva che il 24 febbraio, sesto giorno prima delle calende di marzo, si ripetesse per ben due volte. Successivamente, quando il conteggio dei giorni mensili assunse i tratti che conosciamo, venne introdotto il 29 febbraio. Inoltre, nell’antichità non esisteva una regola fissa che decretasse quando un anno fosse o meno bisestile: fu poi Ottaviano, nell’8 d.C, ad imporre la cadenza quadriennale, che è rimasta tutt’oggi invariata.
Com’è facile dedurre, l’anno bisestile, per via della sua evidente natura anomala, è stato sin dall’antichità oggetto di credenze popolari o strane superstizioni. Basti pensare alla nota profezia Maya, secondo la quale il 21 dicembre 2012 (anno bisestile), il mondo sarebbe dovuto finire. Inoltre, una tradizione del quinto secolo, tramanda che il 29 febbraio fosse l’unico giorno dell’anno in cui una donna aveva la possibilità di farsi avanti per conquistare un uomo.
Francesco Laneri
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