La sua storia colpisce e aiuta a comprendere un po’ meglio: Alaa Arsheed è un musicista siriano di 29 anni che, costretto a lasciare il suo Paese, è arrivato in Italia grazie ad un progetto del centro di ricerca sulla comunicazione Fabrica, la quale lo ha aiutato ad incidere il suo primo album dal nome Sham.
Il titolo del suo primo album, Sham, riprende il nome antico di Damasco in lingua aramaica e richiama il passato di una delle città più antiche e importanti del Mediterraneo, crocevia di popoli e culture diverse. Alaa ha studiato il violino nella sua terra natale e il suo sogno è sempre stato quello di formare un quartetto d’archi con i suoi fratelli e sorelle, anch’essi musicisti. È nato a Suwayda, città a 100 chilometri da Damasco e prima che nel 2011 scoppiasse la guerra civile, gestiva con la sua famiglia una galleria d’arte-caffè di nome l’Alpha, punto d’incontro per gli artisti del territorio e luogo totalmente slegato dalla politica; dal 2006 la famiglia Arsheed è riuscita ad organizzare più di 150 mostre. Purtroppo le attività culturali che venivano realizzate all’interno dell’Alpha sono poi state interrotte bruscamente quando, con l’inizio della guerra nel 2011, un gruppo armato fece irruzione nel locale in cui era situata la galleria e distrusse ogni cosa, quadri, opere d’arte, libri, inneggiando al presidente Bashar al-Assad. Le forze dell’ordine presenti non fecero nulla per fermare gli aggressori; era una chiara intimidazione che lasciava intendere ad Alaa e tutti gli artisti che frequentavano la galleria di essere osservati e di non poter più condividere liberamente le proprie opere e i propri pensieri. Successivamente anche il padre di Alaa fu arrestato e a seguito di vari tentativi fu liberato dopo circa un mese.
Alla luce di questi avvenimenti la galleria fu chiusa e Alaa decise di spostarsi in Libano insieme ai fratelli, dove per un periodo ha provato a continuare i suoi studi al conservatorio e insegnato musica ai bambini per sopravvivere. Ma è in Libano che il giovane musicista siriano incontra l’attore Alessandro Gassmann, durante le riprese del suo documentario sui rifuguati, dal nome Torn (strappati) prodotto in collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni unite. Gassmann chiede ad Alaa di partecipare al documentario e una volta conosciuta la sua storia, decide di parlarne in un tweet, grazie al quale il centro di ricerca sulla comunicazione Fabrica di Treviso, fondato nel 1944 da un’idea di Luciano Benetton, è venuto a conoscenza della sua storia. Fabrica ha offerto a Alaa la possibilità di venire in Italia e realizzare il suo disco, ospitandolo per alcuni mesi e offrendogli la collaborazione di altri talentuosi musicisti quali Jhon Montoya, Geremia Vinattieri e Giacomo Mazzucato. Il disco, composto da otto tracce che raccontano la sua terra e la sua vita, è scaricabile gratuitamente da Soundcloud .
Alaa, come molti altri rifugiati, desidera adesso riavere la serinità e il diritto di condurre la propria seguendo le proprie aspirazioni, sperando di poter avere anche la famiglia al suo fianco. In una dichiarazione di Alaa che si legge sul sito di Fabrica, colpiscono le parole con le quali Alaa lancia il suo messaggio:«La mia vita stava trascorrendo nell’incertezza, quando ho incontrato Fabrica che mi ha dato la possibilità di cominciare qualcosa di significativo. Ora posso gridare al mondo il mio messaggio: l’unica religione per cui dovremmo veramente combattere è l’amore. Unicamente la religione dell’amore».
Lorena Peci
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