Spesso ci è capitato di sentir parlare da altre persone o nelle relazioni virtuali del cosiddetto fenomeno “OBE”, detto per intero “Out of Body Experiences”. I neuroscenziati hanno provato a spiegarne i meccanismi cerebrali, direttamente legati alle sensazioni dei pazienti che hanno provato questo tipo di esperienza, a seconda dei contesti nei quali sono stati sperimentati. É stata trovata più di una ragione legata alle rispettive alterazioni degli stati di coscienza.
L’Out of Body Experience è spesso esplicata da coloro che la vivono come un’esperienza di dissociazione dal proprio corpo in cui ci si vede di solito protesi dall’alto come “spiriti vaganti” che osservano la propria figura corporea dormiente e i cui piedi sono leggermente staccati dal suolo. É possibile, secondo quanto raccontato dalle fonti, che questi “proiezioni di sé” possano infiltrarsi senza alcuna difficoltà negli ambienti circostanti, oltrepassando dunque i limiti del divisibile.
Alcune teorie legate al misticismo religioso hanno affermato che queste esperienze siano segnali di “un’esistenza del dopo” oltre la morte ma a non tutti convincono queste ipotesi. La scienza, ad esempio, ha tentato di darne delle motivazioni logistiche che vedremo in seguito.
Si tratta certamente solo di alcune delle testimonianze venute a noi, in quanto tali fenomeni sembrano avvenire in modo diverso rispetto a contesto di transizione degli stati di coscienza che può di norma riguardare momenti quali l’anestesia generale, attraverso l’induzione di farmaci, il risveglio dal sonno e, addirittura, le cosiddette “esperienze pre-morte”.
Riguardo l’ultimo esempio, sono diverse le circostanze in cui possono apparire questi tipi di fenomeni: alcuni sentono voci ultraterrene e sono allietati da un senso di benessere assoluto, altri invece vedono una luce profonda in fondo a un tunnel.
Una causa specifica in questo contesto potrebbe essere anche quella di induzione di sostanze allucinogene, che ha indirizzato alcune ricerche scientifiche come quella condotta da Imperial College di Londra somministrando la dimetiltriptammina (DMT) a un gruppo di adepti volontari, provocando appositamente sensazioni simili a quelle riportate dai pazienti in fin di vita.
In realtà, la ricerca dell’ICL prende parte a un progetto più ampio che mira a testare l’efficacia delle droghe nell’assumere un ruolo terapeutico nei riguardi dei disturbi mentali quali ansia, depressione, disturbi da stress post-traumatico, sempre in contesti controllati.
Inoltre, nel nostro fluido cerebrospinale è presente una buona quantità di DMT che secondo i dati scientifici pare essere particolarmente stimolata dal cervello durante le fasi irreversibili di shock, com’è il caso del momento pre-morte, per proteggerci dal trauma che stiamo vivendo.
Di recente, i ricercatori dell’Università di Stanford (Usa) hanno scoperto delle aree cerebrali che se stimolate, possono essere responsabili delle esperienze extracorporee. L’area in questione sarebbe il precuneo anteriore, il quale ha il compito di regolare informazioni sensoriali come temperatura, dolore e pressione in relazione agli organi della vista e gli organi vestibolari dell’orecchio interno, concernenti le attività di equilibrio, stabilità e orientamento del corpo nello spazio.
Gli esperimenti hanno testimoniato che basta stimolare dai 2 ai 4 secondi la zona del precuneo anteriore per provocare una dissociazione dal corpo e una distorsione del senso di sé, come prodotto della “integrazione delle percezioni legate al nostro corpo e all’ambiente”.
Un altro caso relativo alle esperienze extracorporee riguarderebbe i fenomeni di epilessia. Alcuni ricercatori svizzeri hanno introdotto degli elettrodi in una donna che ne era affetta, per registrarne gli attacchi e individuarne la fonte: la paziente ha raccontato di aver sperimentato una sensazione di “affossamento” nel letto e anche quella di “galleggiamento fluttuante” nell’aria. I ricercatori sono poi arrivati alla conclusione che a causare questo tipo di fenomeno fosse un errore di comunicazione derivante dall’area del cervello nota come “giro angolare”, fondamentale regolatrice delle percezioni corporee.
Sarebbe possibile inoltre, sempre rifacendoci agli esperimenti dei ricercatori svizzeri presso il Politecnico Federale di Losanna, vivere esperienze di dissociazione sfruttando il battito cardiaco. Vediamolo meglio.
Gli studiosi Lukas Heydrich e Olaf Blanke hanno disposto un gruppo di 17 soggetti a 2 metri di distanza rispetto a un avatar che riprendeva i loro corpi posteriormente. La proiezione virtuale è stata poi allestita di luce pulsante che faceva da “alone luminoso” e seguiva lo stesso ritmo del battito cardiaco dei volontari. Questa operazione ha fatto in modo di sviluppare un segnale interocettivo (quello del battito) all’esterno dei corpi reali.
Dopo 6 minuti, è stato chiesto ai soggetti dell’esperimento di indietreggiare a un metro e mezzo e a occhi chiusi rispetto all’avatar con cui avevano interagito: la reazione di ognuno è stata quella di fare un passo in avanti verso la propria proiezione, il che avrebbe provato un’effettiva modifica della percezione del sé nello spazio.
Queste sensazioni hanno inoltre un forte legame con i fenomeni di depersonalizzazione che è una condizione di scollegamento dalla realtà spesso causata da stress ma non solo. Questo metodo scientifico può avere un ottimo risvolto positivo nel prendere consapevolezza degli inganni del cervello.
Queste ulteriori ricerche ci danno la dimostrazione che il precuneo anteriore, di cui abbiamo parlato in precedenza, non sia l’unica area coinvolta nel processo di stimolazione delle esperienze extracorporee. Anche il cervello assume una funzione importantissima nel coordinare le sensazioni provenienti dai sensi e quando non riesce a formulare una sintesi delle informazioni ricevute, è possibile che ci induca in questa nuova dimensione “fuori dal corpo” che crea una distorsione di consapevolezza.
La memoria, ad esempio, ha il compito di regolare la coerenza tra le informazioni che derivano dall’esterno e quelle che derivano dall’interno. Nel caso di chi soffre di vertigini parossistiche benigne, si può verificare che i dati acquisiti dalla memoria non combacino con ciò che gli occhi vedono e con le informazioni provenienti dagli altri sensi: questo potrebbe provocare un distacco dal “sé presente” che si tramuta in “sé continuo”, una percezione alterata della “continuità del sé” nel tempo e nello spazio nota anche come “esperienza extracorporea”.
Marina Zambito
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Ciao a tutti, io sono Marina e ho 21 anni. Mi piace definirmi come persona curiosa e anche un po’, ma leggermente, chiaccherona. Amo prendermi cura dei dettagli e se ve lo steste chiedendo, sì..sono piuttosto perfettina, ma non troppo esagerata. Con questa esperienza mi auguro di fare qualcosa di buono soprattutto per voi e, in fondo, anche per me stessa. Adesso, non resta che sperimentare. Buon divertimento a noi!