Da parecchi anni, ormai, si combatte continuamente con la fuga estenuante di cervelli all’estero. I ragazzi, infatti, si iscrivono alle scuole superiori, e accedono all’università, già particolarmente convinti di trasferirsi – una volta finito il percorso di studi – in altri Paesi d’Europa per fare fortuna lì, poiché “in Italia non vi è lavoro e non vi sono opportunità lavorative di alcun genere”. Ed è questa l’opinione più frequente, e si sta cercando di correre ai ripari implementando attività formative importanti – corsi extracurriculari, master professionalizzanti, specialistiche di un certo calibro, eccetera – nel tentativo di trattenere, il più possibile, i nostri ragazzi nel Belpaese.
Alla resa dei conti, non è una manovra semplice, ma una certa Patrizia Fontana, come startupper, ha avuto la brillante idea di realizzare una nuova, e innovativa, azienda – grazie anche all’ausilio di 40 gruppi partner alleatisi appositamente – che riporterà (o almeno si spera) i nostri talenti in Italia. Come riporta StartupItalia, Talents in Motion – questo il nome della su detta impresa – vuole attivarsi, soprattutto attirando le università, altre aziende, associazioni, e così via, nel tentativo di attrarre, e ricondurre nel nostro bellissimo Paese, i talenti che, nella maggior parte dei casi, avranno un successo incredibile grazie al proprio potenziale.
Sono disarmanti le percentuali di ragazzi fuggiti all’estero prevalentemente per la bassa occupazione che, al momento, offre l’Italia; e la fuga a cui va incontro quest’ultima, le costa più di 14 milioni di euro all’anno, oltre che un gap sempre maggiore, con gli altri Paesi concorrenti in termini di know-how e cultura digitale, a proposito delle competenze trasversali maggiormente richieste. Si spera, entro un anno, di riuscire a coinvolgere più di 250 aziende nel progetto, e di riuscire a persuadere i molti talenti (circa il 60%) di ragazzi che, da quando sono all’estero, non hanno più provato a cercare un lavoro in Italia.
Fra tutti, in prevalenza numerica sono le donne ad andare all’estero per trovare un’occupazione confacente alle proprie potenzialità (circa il 53%), contro una percentuale leggermente più bassa riguardante gli uomini (suppergiù, il 47%). I cosiddetti expat considerano, appunto, l’Italia un Paese dalle basse possibilità di impiego, ecco perché, difatti, decidono di espatriare; e solo il 16% resta attivo nella ricerca. Come aggirare l’ostacolo è un po’ complicato, ma la speranza è sempre l’ultima a morire… almeno si spera.
Anastasia Gambera
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