Da quando la tecnologia ha cominciato a invadere sempre più le nostre vite, si è insediata in ogni angolo di essa, con quella “dolcezza molesta” con cui ha imparato a farsi amare anche attraverso i dispositivi meno improbabili che, una volta, ci saremmo solo sognati. E se in passato erano i genitori, i nonni – e così via – a pretendere che certe cose andassero fatte nel migliore dei modi (motivo per i quali, spesso, son venuti su uomini e donne di una certa rilevanza), oggi sono le applicazioni a dettarci la maggior parte di quelle regole che impariamo. Oltretutto, non c’è via di scampo da siffatte regole: o le segui, o l’app si blocca e non ti fa continuarne l’utilizzo.
Come riporta anche Panorama, sono stati, infatti, creati dei veri e propri tutori della nostra vita, come l’applicazione che ci insegna come lavarci i denti nel migliore dei modi, con relative immagini al seguito e frasi a effetto che ci inducano a fare del nostro meglio. O il braccialetto da indossare al polso, il quale, se stiamo troppo seduti o ci addormentiamo, comincia a vibrare, come a volerci incoraggiare a fare altro. O, addirittura, l’applicazione americana Mirror, personal trainer 2.0 dei tempi moderni. Invero, sebbene abbia invaso le metropolitane newyorkesi con la sua pubblicità, Mirror rappresenta proprio il coach ideale da portare sempre con sé, che sa quando si sbaglia in un allenamento, o premia per aver fatto bene la relativa sessione giornaliera.
Secondo i luminari, tutto questo è da deputare a un bisogno del genere umano, diventato quasi irrefrenabile, di gratificazioni da ricercarsi presso la tecnologia, i social eccetera. Un like su un nostro post è, per noi, motivo di esaltazione personale, come se quel “mi piace” ci facesse capire che abbiamo scritto, o condiviso, una cosa sensata e interessante. Ed è un meccanismo quasi contorto quello creatosi, poiché induce gli internettiani di turno ad appassionarsi a un qualcosa di puramente fittizio. Difatti, non è un like a dire che siamo intelligenti o altro, ma le nostre azioni nella vita. Sì, la tecnologia è ormai la nostra “mamma moderna”, ma restare sé stessi è indispensabile in un mondo di omologazioni continue.
Anastasia Gambera
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