Sui social sono arrivate delle nuove star: i baby influencer. Sono ovunque: Facebook, Tik tok, Instagram, Youtube… e sono sempre pronti a strapparci un sorriso con la loro dolcezza. Tuttavia, il mondo dei mini influencer è tanto apprezzato quanto criticato. C’è chi accusa i genitori di invadere gli spazi personali dei loro bimbi facendone un business, chi addirittura parla di sfruttamento minorile… È davvero così?
Quando si parla di piccole star del web è impossibile non pensare a Vitto e Leo, i baby influencer per eccellenza della casa Ferragnez. I due fratelli – rispettivamente di 1 e 4 anni – sono ormai diventati dei meme viventi grazie ai loro genitori, che mostrano giorno per giorno divertenti spezzoni della loro vita familiare (non senza critiche). Insomma, i loro profili social sono diventati una sorta di album dei ricordi in versione digitale, con la piccola differenza che a guardarli sono milioni di followers da tutto il mondo. Ma quello dei baby influencer è un universo ampissimo e non si limita solo a questo.
Il fatto che i bimbi vengano esposti sui social non è necessariamente un male. Abbiamo di certo molti esempi positivi: spezzoni di vita quotidiana sulla scia dei Ferragnez, video divertenti, fino ad arrivare a vere e proprie scenette comiche come quelle di Ginny, figlia di Nunzio Fresi, che ha conquistato 1 milione di followers con il suo “Senti bella!“. Ma questo fenomeno non si esaurisce solo ai video divertenti. Molti genitori hanno deciso di condividere la propria quotidianità sotto una luce diversa. È il caso dei parenting influencers, genitori che sfruttano i social per condividere suggerimenti sulla genitoralità. Metodi di svezzamento e di apprendimento innovativi, dritte sull’educazione. Insomma, si pongono da veri e propri coach della genitorialità, creando una community nella quale far circolare consigli preziosi. In questo caso a essere protagonisti restano comunque i genitori. I bimbi, pur comparendo nei video (e suscitando quindi l’affezione dei followers) occupano un ruolo marginale, fungendo più da comparsa che da attori.
Ma se i bimbi giocano a fare gli influencer, sotto il rigoroso controllo dei genitori, che male c’è? Perché molti sono arrivati addirittura a parlare di sfruttamento minorile? La triste verità è che per molti bambini fare gli influencer non è solo un gioco, ma un lavoro: video settimanali programmati, trucco e parrucco, e talvolta anche collaborazioni. Il tutto ovviamente retribuito dalle piattaforme social (e i guadagni vanno direttamente nelle tasche dei genitori). Youtube, ad esempio, è pieno di baby youtubers che si cimentano nelle categorie più disparate: video asmr, vlog, unboxing, persino video musicali. Nulla di male se il bimbo lo fa per divertimento, ma qui i confini tra gioco e lavoro sono davvero labili. C’è anche di peggio. Bambini costretti a comportarsi da adulti, con vestiti striminziti, trucco pesante e atteggiamenti che hanno ben poco di infantile. Arriviamo anche a casi da brividi come quello del profilo TikTok Bebop and Bebe. Mamma e figlia, sempre sorridenti e super truccate, hanno suscitato molti dubbi nei loro followers. C’è chi pensa che i loro video siano girati su un vero e proprio set, chi pensa che la bimba sia costretta a farli e chi addirittura ipotizza un rapimento. Saranno solo dicerie, ma ciò che è certo è che i loro mini-video sono alquanto innaturali e disturbanti.
La questione ha aperto uno spettro di problematiche dove in un estremo i colpevoli sono gli spettatori e in quello opposto i genitori dei piccoli influencer.
Da un lato i pericoli vengono dall’esterno. Esibendosi sul palcoscenico dei social, i bimbi possono raggiungere una platea potenzialmente infinita e pertanto difficile da controllare. Per quanto i genitori possano fare attenzione ai propri followers, tra questi si celano spesso malintenzionati. Basta un click per salvare un video e da quel momento se ne può fare ciò che si vuole, persino pubblicarlo in siti che di innocente hanno ben poco. Basta pensare al dark web, un oceano di dati incontrollati dove purtroppo non manca la pedopornografia. Lo sa bene Jacquelyn, mamma della baby influencer da 17 milioni di follower Wren Eleonor. Le foto della bimba – di soli 3 anni – sono state riempite di commenti inappropriati a sfondo sessuale. Tuttavia, le critiche del pubblico non sono state rivolte agli autori dei commenti, bensì alla mamma: Jacquelyn è stata accusata di mettere deliberatamente in pericolo sua figlia per fare qualche view.
Come nel caso di Jacquelyn, spesso la colpa ricade sui genitori, che sono accusati di strumentalizzare i loro figli, compromettendo la loro privacy e il loro benessere per trarne guadagno. Ed è qui che si apre il tema dello sfruttamento minorile. I bambini, specie sotto i 14 anni, non hanno ancora il grado di maturità necessario per gestire il successo. Avere alle spalle così tanti followers può essere pesante a livello psicologico. Se non lo è agli esordi, quando non si hanno ancora piene capacità di discernimento, potrebbe diventarlo con la crescita. Persino gli adulti possono rendersi conto di non gradire le luci dei riflettori, figuriamoci i bambini, che un giorno si ritroveranno a gestire una fama non ricercata da loro. Inoltre si lamenta la violazione della privacy da parte dei genitori. Fare continue riprese durante la giornata può essere divertente, ma significa anche privare i propri figli dei loro spazi personali con ricadute negative sulla loro crescita.
Le norme ci sono: il primo riferimento in merito è La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e recepita dall’Italia con legge 176 del 27 maggio del 1991. Essa stabilisce che «nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione», ponendo quindi particolare attenzione alla tutela dei minori.
Con gli anni sono stati fatti passi avanti, con la formulazione di norme più specifiche in merito all’esposizione dei minori sui media. Il GDPR, messo in atto nel 2018, pone l’accento sulla protezione dei dati personali dei minori, stabilendo un’età del consenso digitale. Al di sotto di questa soglia di età, fissata in Italia a 14 anni, il trattamento dei dati personali è sottoposto all’autorizzazione di entrambi i genitori, di comune accordo. Insomma, la situazione legislativa attuale lascia ampio spazio ai genitori e al loro buon senso.
Esporre i propri figli non vuol dire necessariamente catapultarli nel mondo dei social senza alcuna precauzione: molti genitori di baby influencer hanno dichiarato di aver limitato alcune funzioni, come la possibilità di commentare o di salvare i video e di controllare frequentemente l’audience coinvolta, per evitare spettatori indesiderati. Piccoli accorgimenti che attutiscono sensibilmente i rischi, ma non li annullano. Ecco perché il buon senso è fondamentale, ma non è abbastanza. Anche in buona fede e inconsapevolmente, i genitori rischiano di mettere a repentaglio la salvaguardia dei propri figli o ledere la loro dignità.
Insomma, piuttosto che chiedersi se l’esistenza dei baby influencer sia giusta o sbagliata, bisognerebbe chiedersi se lo scenario attuale, ricco di rischi e punti di domanda possa essere migliorato con l’aiuto di normative ad hoc o di strumenti forniti dalle stesse piattaforme. Se permettiamo ai bambini di assumere un ruolo così centrale nei social, è doveroso permettergli di occuparlo in maniera sana e sicura, mettendo al primo posto la loro tutela e non il guadagno.
Alice Maria Reale
Fonte immagine: Pixnio
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Nata a Catania nel lontano 2002, la piccola Alice si è sempre distinta per la sua risolutezza e determinazione.
Dopo aver deciso di voler diventare un’archeologa, poi una veterinaria e poi un’insegnante, si iscrive al Liceo Linguistico Lombardo Radice e scopre le sue due grandi passioni: la scrittura e le lingue straniere, che decide di coniugare iscrivendosi alla facoltà di Scienze e Lingue per la Comunicazione.