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The Whale: l’anonimo canto della sofferenza
02 Marzo 2023
EntertainmentSettima arte

The Whale: l’anonimo canto della sofferenza

Home » Entertainment » The Whale: l’anonimo canto della sofferenza

In sala dal 23 febbraio, The Whale di Darren Aronofsky (conosciuto al grande pubblico per opere quali Requiem for a Dream e il Cigno nero) è capace di compromettere la vostra più intima sensibilità. Tratto dalla pièce teatrale di Samuel D. Hunter, che ha curato anche la sceneggiatura della pellicola, si è già guadagnato un leoncino d’oro alla Mostra del cinema di Venezia e partecipa con tre candidature al Premio Oscar.

Darren Aronofsky
Crediti: Wikipedia

Il cast

Ciò che fece parlare del film sin dall’annuncio fu la presenza come protagonista di Brendan Fraser. Negli ultimi anni era scomparso dal grande schermo: la gente si era dimenticata di chi ha segnato l’infanzia di molti con il suo personaggio nella trilogia de La Mummia (o il più recente e dimenticato Inkheart). La sua assenza è da ricercarsi nelle controversie che lo coinvolsero a partire dal 2018, riguardanti sue accuse di molestia sessuale verso Philip Berk (ex presidente della Hollywood Foreign Press Association).

Brendan Fraser
Crediti: Wikipedia

La grande attesa legata al suo ritorno è stata di certo soddisfatta se non superata. Brendan Fraser è stato capace di lasciarci una performance senza precedenti: un ruolo difficile quello dell’anonimo Charlie e della sua vita travagliata. Questo dovrebbe farci riflettere, oltre che sulla sua immensa bravura, su come spesso grandi attori celati non vengano sufficientemente messi alla prova sin dal loro esordio.

Giovane recente scoperta, nel ruolo della figlia Ellie, è Sadie Sink: la ricorderete per il suo ruolo nella famosissima serie Stranger Things. Si tratta di un personaggio anch’esso difficile e che ha saputo risaltare l’ancora acerba bravura dell’attrice.

Sadie Sink
Crediti: Flickr

Bisogna però rendere merito anche agli altri due ruoli centrali di questa pellicola con un esiguo, ma efficace cast, ovvero quelli di Ty Simpkins – che forse ricorderete per il suo piccolo ruolo in Iron Man 3 – e Hong Chau.

“L’autore stava solo cercando di salvarci dalla sua triste storia, solo per un po’”

Un uomo di ormai 250 chili vive isolato dal mondo da anni e tiene lezioni di scrittura online, rigorosamente con webcam spenta poiché si vergogna del suo aspetto. L’unico contatto che ha Charlie è quello con la sua amica e infermiera Liz. Tutto cambia quando fa la sua comparsa la figlia Ellie, che aveva abbandonato a otto anni. Scopriremo il suo mondo e il suo passato, attraverso la straziante esperienza di The Whale.

Dichiarato esplicitamente sin dai primi minuti, l’opera si lega al capolavoro di Herman Melville Moby Dick. È infatti un motivo ricorrente l’epopea del Capitano Achab: in particolare si tratta di un farmaco letterario, una tesina sul romanzo che Charlie legge e rammenta ogni qual volta pensa che quelli siano i suoi ultimi istanti di vita.

L’importanza della scrittura, intesa come traccia onesta e sincera dell’uomo, torna costantemente, anche in relazione al ritrovato ostico rapporto con Ellie. Charlie è stanco e oppresso da un mondo che lo guarda con pietà e disgusto. Un mondo infame che non ha neanche il coraggio di ferire. Un mondo che preferisce il silenzio e l’indifferenza.

«L’autore stava solo cercando di salvarci dalla sua triste storia, solo per un pò» recita la tesina ed è quello che Charlie fa giorno dopo giorno.

Ciò che infatti risponde il protagonista a Liz, ogni qual volta lei lo sproni a recarsi in ospedale e tentare di risolvere la sua condizione, è “mi dispiace”. Questo secondo motivo è il sintomo diretto sia della piena consapevolezza della sua condizione, sia, al contempo, la maturazione di un immotivato senso di colpa, rivolto agli altri ma che in realtà parla al proprio io.

Simboli e metodi del dolore

Un particolare da notare è quello dell’uccello a cui Charlie dà da mangiare: è l’unico essere che, metaforicamente, non lo giudica e che accetta ciò che ha da offrirgli. È curioso osservare anche come la finestra che dà sul piatto, dove ripone il cibo, sia l’unica che venga aperta nel corso della vicenda ed è da intendere come quell’unico spiraglio verso il mondo. Charlie, infatti, non osa neanche farsi vedere da un fattorino e preferisce aprire la porta solo quando ha la certezza di non essere osservato.

Ci troviamo di fronte a un film originale: dal punto di vista tecnico perché ci viene offerta una pellicola in 4:3 che restringe il campo visivo creando una vera scena teatrale, in quel singolo ambiente che è l’appartamento di Charlie; dal punto di vista drammaturgico perché in grado di destabilizzare lo spettatore, lo turba e quasi cinicamente lo costringe al disgusto, facendogli provare ciò che – realisticamente – il mondo intero sente per il protagonista.

Nessuna catarsi, solo un grande peso

Andate dunque a vedere The Whale. Aronofsky lascia un’esperienza straziante e che vi farà uscire dalla sala con un grande peso sul petto. Vi farà sentire male e vi porterà senza dubbio, anche nel corso della visione, a rivedere voi stessi e il vostro sguardo sul mondo.

 

Riccardo Bajardi

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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