Il nuovo film di James Marsh La teoria del tutto (The Theory of Everything) è al cinema. Il film è interpretato da Eddie Redmayne, che veste i panni del giovane Stephen Hawking, fisico, astrofisico e cosmologo. È basato sulle memorie Verso l’infinito (Travelling to Infinity: My Life with Stephen) di Jane Hawking, ex-moglie del fisico, pubblicata in Italia da Edizioni Piemme. La storia prende avvio nel 1963 nella città di Cambridge, in cui il giovane Hawking cerca di trovare un’equazione unificatrice per spiegare la nascita dell’universo e come esso sarebbe stato all’alba dei tempi. A una festa conosce la studentessa di lettere, Jane Wilde, interpretata da Felicity Jones. Attratti l’uno dall’altro, la loro storia trova un’impasse quando viene diagnosticata a Stephen una atrofia muscolare progressiva. Gli studi di Hawking vengono compromessi così come la sua intera vita insieme ad altre semplici attività: scrivere, camminare e parlare.
Il più delle volte, problematiche al cinema sono le biografie, che sono a volte utili alla comprensione da parte del pubblico, ma che nel caso di artisti, filosofi e scienziati possono costituire per lo più un equivoco, rappresentato dalla dipendenza dell’opera dal fattore biografico. Il film di Marsh, fra gli altri, cade in questo errore: infatti il regista, premio Oscar per lo splendido documentario Man on Wire – Un uomo tra le torri, ha scelto una narrazione molto convenzionale per raccontare una storia eccezionale, mettendo in evidenza i sentimenti. Vedendo La teoria del tutto viene spontaneo ed esplicito domandarsi, quindi, cosa avrebbe dovuto fare di più James Marsh per essere preso sul serio dagli Accademy Awards, i quali hanno candidato il film a cinque Premi Oscar, dimenticando una menzione per il suo autore.
Il particolare più evidente di questa elaborazione cinematografica è la sceneggiatura di Anthony McCarten: un’eccellenza in fase di stesura che ha insistito non poco pur di conferire al suo script un’ambientazione che rimandasse a certo cinema sperimentale, dove nulla è più al centro della scena dell’inno all’amore attrattivo, ripudiato e illecito di Stephen e Jane. Altro elemento essenziale è il fatto che l’opera scorra come l’incisivo ritmo musicale della colonna sonora dell’islandese Jóhann Jóhannsson, candidato all’Oscar 2015. La fotografia, d’altra parte, è finalizzata soprattutto al pathos, a un dramma capace di commuovere come al teatro. Un film quindi che riesce finalmente a pensare e a dire di più grazie ad un accurato studio delle possibilità linguistiche dell’immagine in movimento. A tratti appare come un biopic surreale, che dimostra come la realtà possa superare la fantasia insieme al percorso culturale ed esistenziale dei protagonisti. In quel viaggio che percorre molti anni dell’astrofisico a partire dal 1963, gli spettatori avranno modo di conoscere i vari personaggi, ovviamente, ognuno di loro con una storia molto ben delineata alle spalle. Segreti, amori, e debolezze da nascondere. Il lirismo scarnificato dalla durezza della vita di una giovanissima coppia, la verità di cui sono intrisi gli interpreti, quel senso di libertà che più cinematografico non si potrebbe: sono questi gli elementi essenziali.
Indugiare su ulteriori dettagli di una trama articolata che traballa tra vita, amore, apparenze e interessi sociali, è assai inutile per una biografia così nota. Ma pur nella ripetizione di una storia raccontata altre volte (ad esempio il film per la televisione Hawking del 2004, dove il protagonista era interpretato dall’attore Benedict Cumberbatch) è l’interpretazione dei protagonisti a fare la differenza. Eddie Redmayne su tutti, come è giusto che sia, così intenso e struggente tanto nelle conversazioni quanto nei gesti, epici eppure intimi. Il denominatore comune tra tutte queste “apparenti” carinerie cinematografiche è l’originale anti-convenzionalità del personaggio femminile protagonista, Felicity Jones: mostra lo spessore di un’attrice inedita sul grande schermo straordinariamente dotata di accenti inusuali, nuova cifra stilistica della sua profondità artistica.
Enrico Riccardo Montone
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