“Senna”, la miniserie disponibile su Netflix dallo scorso 29 novembre sulla vita e sulla carriera dell’immortale pilota brasiliano, è un vulcano di emozioni. Anzi, un “mini vulcano”. Come il soprannome che la mamma diede al piccolo Ayrton, quando, ancora in tenera età, iniziò prima a correre e poi a camminare. Segno ineluttabile del destino che lasciava già intuire come Senna sia nato per correre. Per andare veloce. Perché, sin da bambino, capì che il mondo andava (va) troppo piano.
Una serie tv di quelle che sai già il finale, ma che guardi episodio dopo episodio perché ne vuoi ancora. Ne vuoi di più. Che, una volta finita, la vorresti riguardare subito. Nuovamente da capo. Perché vorresti essere lì. Vorresti essere lui. Vorresti cambiare quel finale maledettamente triste che, in cuor suo, Senna sembrava quasi presagire.
Una miniserie che, come il pilota brasiliano nel 1994 all’età di 34 anni non aveva intenzione di ritirarsi, allo stesso modo, pensi non ci sia motivo di smettere…di guardarla o riguardarla. E, mentre guardi il sesto e ultimo episodio, pensi che sia giusto così. Pensi che sia giusto lasciare tutto per guardare, o riguardare, la fine che più ingiusta non si può. Non di una serie tv, ma di una vita. E mentre guardi, o riguardi, quella fine ingiusta, pensi a come la tua vita e quella di chi ti sta accanto, anche quando sembra andare piano, in realtà va veloce. Forse non ai 300 km/h e passa del pilota brasiliano, ma sicuramente troppo veloce. E ti viene voglia di piangere, di sorridere, di riempire quel senso di vuoto che lascia.
Una serie tv che, per chi è nato dopo la sua morte, rappresenta un’occasione per conoscere di più sia Ayrton l’uomo che Senna il pilota. Per chi, invece, è più grande, di ricordarsi esattamente con chi fosse e cosa stesse facendo alle ore 14:16 di quel maledetto 1° maggio 1994.
“Senna“, una serie tv per scoprire lati della vita e della carriera del pilota brasiliano che forse non si conoscevano. Per capire realmente il perché, da quando Senna non corre più, non è più domenica. Per comprendere che Ayrton Senna da Silva non è stato solo il miglior pilota di tutti i tempi, un grande uomo dai forti principi e valori, ma un vero e proprio eroe.
Già. Un eroe per il Brasile. Per gli appassionati di Formula 1. Per il mondo intero. Un (super)eroe il cui (super)potere è sempre stato la velocità. Sin da quando, a quattro anni, ha cominciato a correre sui kart. Ed è per questo forse, per colpa proprio del suo super potere, che se n’è andato via troppo in fretta. Troppo velocemente.
Lasciando dietro di sé una nube (di fumo) che, però, non si è mai dissolta. Non è mai scomparsa. Anzi, che con il passare del tempo, aleggia sempre più grande lassù, in cielo. Una nuvola, grande, che, dopo trent’anni, unisce ancora, sotto lo stesso cielo, tutto il mondo. Da Imola al Brasile. Perché nessuno, in tutte le latitudini, si è dimenticato di Ayrton Senna.
E se, qualche volta, da quella stessa grande, enorme, nuvola cadono gocce di lacrime e commozione ripensando al pilota brasiliano, lo stesso Ayrton ricorda che “la pioggia mette le macchine su uno stesso piano, ma non i piloti”. E che, quindi, è nei momenti in cui ricordiamo il “re della pioggia” che il mondo va più forte. Va più veloce.
La miniserie targata Netflix serve per ricordarci, dunque, non l’uomo o il pilota, ma per ricordare a ognuno di noi che Senna vive: nei cuori di chi lo ha amato, e non solo. Che Ayrton vive in quei milioni di bambini brasiliani che hanno avuto un futuro e un’istruzione migliore grazie al suo Istituto. Che Senna vive in quei piloti che, ancora oggi, hanno come idolo proprio il brasiliano e che, magari, sono vivi grazie alle maggiori regole di sicurezza introdotte nell’automobilismo dopo il suo tragico incidente.
La serie tv, ancora, serve per ricordare che Ayrton vive in tutte quelle persone legate alla propria famiglia e alla propria terra. Che Senna vive in coloro che, come lui, affrontano la vita con grande forza, determinazione e passione. In coloro che, nonostante le ingiustizie subite, vanno ugualmente avanti con i propri valori e i propri ideali. Che Senna vive nelle donne e negli uomini di fede.
Serve per ricordare, infine, che Senna, il pilota, l’uomo, l’eroe, ha vinto la sua battaglia contro il tempo. Non solo in pista, ma anche nella vita. Perché, se il suo (super)potere era la velocità, quest’ultima, è stata definitivamente sostituita dall’immortalità. Ayrton Senna va oltre il tempo. Ha battuto anche lui.
Fonte Foto in Evidenza: Netflix (X)
Giuseppe Rosario Tosto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Giuseppe, classe 1999, aspirante giornalista, è laureato in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali) ma, fin da piccolo, è appassionato di sport e giornalismo. Simpatiche, si fa per dire, le scene di quando ancora bambino si sedeva nel bar del padre e leggeva la Gazzetta dello Sport “come quelli grandi“.
Entrato a far parte di Voci di Città, prima, come tirocinante universitario e, poi, come scrittore nella redazione generalista e sportiva, con il passare del tempo è diventato uno dei due Coordinatori della Redazione. Oltre a far da Tutor per Tirocinanti e a svolgere il ruolo di Correttore di Bozze, al termine di ogni giornata di campionato cura personalmente la rubrica “Serie A, top&flop”. Un modo originale, con protagonisti i giocatori che si sono distinti in bene e in male, per vedere tutto quello che è successo nel fine settimana di calcio italiano.
Inoltre, coordina la squadra di Calciomercato, Europei e Mondiali. Scrive di tennis (il suo sport preferito, dopo il calcio) e NBA (non si contano più le notti passate in bianco per vedere le partite live). Infine, si occupa anche delle breaking news che concernono i temi più svariati: dallo sport all’attualità, dalla politica alle (ahinoi) guerre, passando per le storie più importanti e centrali del momento.
Il suo compito? Cercare di spiegare, nel miglior modo possibile, tutto quello che non sa!