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Perugia: confisca di reperti archeologici a favore del MANU
23 Giugno 2022
PerugiaArt attackSettima arteSocietasCittà

Perugia: confisca di reperti archeologici a favore del MANU

Home » Città » Perugia » Perugia: confisca di reperti archeologici a favore del MANU

Si è conclusa con la restituzione allo Stato italiano, in virtù delle disposizioni di legge che disciplinano il ritrovamento e l’illecito impossessamento di beni culturali di natura archeologica (art. 91 D.Lgs 42/2004 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), la vicenda giudiziaria che ha visto i Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Perugia eseguire, a favore del Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria, diretto dalla Dott.ssa Maria Angela Turchetti, un  provvedimento di confisca, emesso dall’Autorità Giudiziaria del capoluogo umbro, inerente un cospicuo numero di manufatti archeologici “di particolare interesse e valenza culturale”.

 

L’individuazione e il sequestro degli oggetti, che costituivano una “modesta” ma interessante collezione privata, risale all’anno 2016, ed è avvenuto nel corso di un accertamento effettuato nei riguardi di due privati collezionisti perugini, i quali ne stavano tentando la vendita all’incanto.

 

I Carabinieri dello specializzato Reparto dell’Arma, che dal 2016 operano a Perugia con un Nucleo deputato a svolgere attività di prevenzione e contrasto ai reati ai danni del patrimonio culturale, nell’approfondire una segnalazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria, sono riusciti ad impedire, sequestrandoli ai detentori, la vendita degli oggetti d’archeologia in quanto privi delle necessarie documentazioni e autorizzazioni a prova di un possesso lecito.

 

Nel corso degli approfondimenti investigativi è stato accertato che una coppia di fratelli, per ottenere l’autorizzazione alla vendita, avevano comunicato alla Soprintendenza il possesso di alcuni oggetti d’archeologia ricevuti quale lascito ereditario dal padre, senza però portare a conforto delle loro dichiarazione alcuna valida certificazione; nello specifico, la norma prevede che per avere lecitamente titolo al possesso di questa particolare tipologia di beni culturali, il detentore deve provarne la provenienza lecita, ad esempio con documenti attestanti la compravendita avvenuta presso attività di settore; ovvero dimostrarne, in modo inequivocabile, il possesso riconducibile a data antecedente al 1909, ciò in riferimento alle legge 20 giugno 1909 n. 364, con la quale veniva ricondotta alla esclusiva proprietà dello Stato di tutte le testimonianze storiche rinvenute; a qualsiasi titolo, nel sottosuolo e nei fondali marini.

 

La particolare rilevanza storica dei manufatti, è stata evidenziata anche dai funzionari archeologi incaricati di visionare e valutare l’eterogeneo nucleo di reperti, costituito da oggetti bronzei, ceramici, vitrei, oreficerie, ornamenti personali in pietre dure e pasta vitrea, la cui produzione è stata collocata in un arco cronologico compreso tra il X secolo a.C. e la prime età imperiale (I secolo a.C. – II secolo d.C.). Per quanto riguarda l’area geografica di riferimento, dalla composizione dei materiali e dai criteri di realizzazione e raffigurazione, la produzione è stata riferita ad ambiti italico, etrusco e romano; mentre il valore economico complessivo, che prescinde in modo sostanziale da quello storico-artistico riferito alla natura di “testimonianza culturale”, è stato quantificato in circa 15.000 euro.

 

Attraverso il monitoraggio del commercio, svolto dai Carabinieri TPC in stretta collaborazione con i funzionari delle Soprintendenze quali organi periferici territoriali del Ministero della Cultura, è molto frequente imbattersi in beni d’arte di appartenenza o provenienza pubblica che, spesso, si scopre essere oggetto di sottrazione o impossessamento illeciti, se non addirittura frutto di ricettazione, come nel caso dei reperti archeologici scavati illecitamente (o anche solo fortuitamente rinvenuti e non denunciati alle Autorità competenti: Soprintendenza, Sindaco, Ufficio di Polizia) che finiscono nel giro del mercato antiquario sprovvisti di certificazioni, creando in tal modo non pochi problemi giudiziari a chi ne tenta la vendita o ne realizza l’acquisto.

 

Determinanti a smascherare i “traffici illeciti” sono i controlli svolti attraverso l’interrogazione della “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti”, il database creato, gestito e costantemente alimentato dalla Sezione Elaborazione Dati del Comando TPC (il più completo archivio informatico esistente al mondo, dove sono registrati i file contenenti descrizioni e immagini riferite ad eventi delittuosi compiuti ai danni del patrimonio culturale).       

 

La restituzione al patrimonio pubblico di questi “frammenti di storia”, come già avvenuto per tante altre importanti testimonianze del passato, oltre a confermare l’impegno che da più di cinquant’anni accompagna la peculiare attività svolta dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale nella ricerca e recupero di oggetti d’arte, riporta alla fruizione collettiva oggetti che narrano la storia identitaria del nostro Paese, nel presupposto di diffondere e far comprendere quei principi di legalità che sono alla base del rispetto e della salvaguardia del bene comune.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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