È già risaputo il fatto che il cinema rappresenti un momento di evasione dalla realtà, attraverso il quale la mente si allontana dalla routine per immergersi in un vero e proprio canale di emozioni. Ma quali sono i motivi reali per cui si decide di pagare un biglietto e di sedersi in una sala buia insieme ad altre persone? «L’emozione è un ingrediente essenziale della narrativa e se non sperimentiamo emozioni siamo meno coinvolti nella storia, o addirittura la respingiamo» sostiene Frederick Luis Aldama, esperto di psicologia cognitiva dell’Ohio State University. Ciò spiega come, durante la proiezione di un film, venga fuori la nostra capacità di immedesimarci in una certa storia, seppur di finzione: riusciamo a percepire e, di conseguenza, a comprendere le emozioni di un dato personaggio semplicemente perché lo facciamo già nella vita reale. Reagiamo quindi alle vicende narrate in un film come se ciò che vediamo, in realtà, stesse accadendo sul serio.
Per esempio, il pianto può essere scatenato da due motivi principali: nel primo caso – il più frequente – le lacrime scaturiscono a causa di una situazione prettamente negativa, dalla quale il personaggio non può evadere e per la quale non riceve alcun aiuto. «Anche lo spettatore è indifeso: non può intervenire nella situazione indesiderabile rappresentata, e questo è il meccanismo che scatena il pianto» spiega Jonathan Frome, docente dell’University of Texas di Dallas. Nel secondo caso, in una scena estremamente positiva rappresentata dal superamento di una grande difficoltà, le lacrime possono fare capolino allo stesso modo. Non tutti, però, riescono a “lasciarsi andare”, sebbene protetti dal buio della sala: infatti, c’è chi ricorre al cosiddetto reinquadramento cognitivo, tramite cui si ridimensionano le emozioni, nel momento in cui ci si convince che ciò a cui si sta assistendo sia una semplice finzione. Legate a pianto e tristezza sono anche le sensazioni della paura, che trovano parecchi riscontri negli horror o nelle storie di suspence: in tali circostanze, lo spettatore vuole provare quella tensione che, nella vita, cerca proprio di evitare. Eppure il meccanismo della paura, paradossalmente, funziona fino a quando arriva l’orrore, momento esatto in cui la tensione si allenta: in altre parole, ciò che ci spaventa è la paura stessa.
Ci si è chiesto anche quali siano i meccanismi neurobiologici attraverso i quali si attivano le emozioni dello spettatore, durante una proiezione cinematografica. A tal proposito, è stato effettuato un esperimento: cinque volontari sono stati invitati a vedere 30 minuti de Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone e attraverso l’uso della risonanza magnetica funzionale è stato riscontrato l’uso simile, per tutti gli spettatori, delle stesse aree cerebrali, nonché dei medesimi movimenti oculari. «I soggetti erano liberi di guardare dove volevano dal momento che non avevano avuto istruzioni, a parte il fatto di stare fermi nello scanner della Risonanza e guardare il film, ma per molte scene tutti i soggetti fissavano la stessa parte dello schermo allo stesso tempo» spiegano i ricercatori americani. Questo risultato non è casuale ed è legato alla manipolazione tipica del cinema e delle sue tecniche, quali luci, montaggio, primi piani, campi lunghi e durata delle scene. Inoltre, è stato notato come lo spettatore preferisca accomodarsi sul lato destro della sala per apprezzare al meglio i contenuti emotivi del film: alcune ricercatrici canadesi hanno dimostrato che questa scelta, spesso inconsapevole, è guidata dalla maggiore capacità che ha l’emisfero destro di elaborare emozioni. Identificarsi con la vita e le vicende dei personaggi rappresenta, quindi, il desiderio di provare tensioni forti, sia positive che negative, attraverso un viaggio all’interno di una perfetta realtà virtuale, che solo il cinema può permettere di compiere.
Martina Lo Giudice
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