Nelle sale dal 20 aprile, Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti è ciò che più si avvicina alla vera natura del regista. Torna il Moretti pedante, ansioso e quasi scollato dal mondo che lo circonda. “Sei faticoso” così viene apostrofato il suo personaggio dalla figlia, aggettivo quanto più lontano dall’essenza del film.
Nanni Moretti, presenza necessaria e sufficiente nei suoi film, è chiaramente il protagonista. È affiancato dai grandi talenti, tanto leggeri quanto impegnati, di Margherita Buy e Silvio Orlando.
Vi sono però alcune “chicche”. Escludiamo la sequenza finale, un grande omaggio all’intera filmografia del regista, che sarebbe un peccato spoilerare. Nella pellicola fanno da cameo tre importanti personaggi di cultura, ai vostri occhi simpatici o meno, inseriti perfettamente e di cui è indubbio il talento. Si tratta, in ordine di apparizione, di Renzo Piano, Chiara Valerio e Corrado Augias.
Non si tratta di una canzone di Battiato, anche se Battiato c’è eccome. Giovanni (Nanni Moretti) è un regista alle prese con il suo ultimo film: una sede del PCI di fine anni Cinquanta, gestita dal capo redattore (Silvio Orlando) della testata di partito L’Unità, si trova in crisi quando l’arrivo di un circo ungherese giunge in città mentre il paese d’origine viene invaso dall’Unione Sovietica. In tutto questo emerge il difficile rapporto con la moglie Paola (Margherita Buy) e la sua volontà di farla finita col marito.
Un personaggio nevrotico quello di Giovanni e non poteva essere altrimenti. Un protagonista fin troppo legato a principi e ideologia, capace di infastidirsi per la minima cosa fuori posto e non in linea col suo pensiero. Indicativa a riguardo è una scena in cui Giovanni ferma un intero set, presso cui lavora la moglie e lui no: una sequenza esilarante ma tanto significativa.
Giovanni vuole però girare in futuro un altro film: una storia d’amore con sottofondo solo canzoni italiane. Salvo per le canzoni, ben presto lo spettatore si renderà conto di come la pellicola divenga un film nel film. Non si distingue il set, non vi sono passaggi marcati, così come Giovanni non distingue la realtà dall’immaginazione: nel sogno e nella fantasia trova però le risposte alla sua vita, su cosa ha sbagliato con la moglie. Forse troppo tardi, deciderà comunque di stravolgere il proprio racconto e lì riuscirà davvero a liberarsi.
La comicità è quella di Moretti, snervante e nonsense: il minimo particolare portato all’esasperazione e reso cardine di un’esistenza con forse fin troppi principi e false libertà. Un percorso di crescita tardiva, sì, ma mostrata con quella leggerezza di linguaggio –tanto acuta– propria del regista.
Non è il film più riuscito di Moretti senza dubbio, ricco di auto citazionismo e che manca di una struttura effettivamente organica. Tante piccole sequenze legate tra loro, riuscite, ma che non esprimono il loro pieno potenziale.
La poetica è quella di Moretti, così come il suo umorismo: situazioni credibili ma perennemente sintomo di un conflitto, sopito, ma strisciante. Una pellicola capace di far sorridere e riflettere, nel medesimo istante, senza moralismi e inutile retorica.
Riccardo Bajardi
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