È in un sanatorio mentale che Baz Luhrmann fa cominciare il film. Si tratta de Il grande Gatsby, quarto remake cinematografico dell’omonimo romanzo (giunto in Italia nel 1936, ma già pubblicato negli States nell’aprile 1925) dello scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald. La storia, in fondo, è l’espressione di un periodo di grande solitudine attraversato dallo stesso scrittore che, sotto le veci di Nick Carraway (Tobey Maguire), narra la storia di James Gatz (Leonardo DiCaprio), ricco imprenditore dalle origini sconosciute. Di per sé, già dalla presentazione i due personaggi appaiono opposti: Nick, vero protagonista della storia, è conformista, moralista e puritano; Gatsby, al contrario, è un festaiolo arricchitosi con mezzi più o meno illeciti, ma con uno scopo ben preciso, che però non vi sveliamo. La colonna sonora, intrisa di hip-pop, jazz, stili contemporanei, Jay Z, Beyoncé, Lana Del Rey e molti altri cantanti dei nostri giorni, è a volte eccessiva, seppur in alcune sequenze riesca a regalare il giusto ritmo. Si tratta, poi, di uno di quei lungometraggi che esaltano la percezione visiva, infatti la scenografia è presentata con colori vividi, densi. Gli attori, che in alcune parti danno il meglio di loro, soprattutto nella prima Maguire e nella seconda DiCaprio, sono immersi in un’atmosfera anni ’20 tutta particolare e specchio del periodo del proibizionismo americano, della Borsa di Wall Street prima del crollo del ’29, ma anche emblema dell’alienazione della società capitalistica contemporanea, che si andava a delineare proprio in quegli anni e che prendeva come punto di riferimento fondante il dio denaro. Non a caso, quasi ogni personaggio, eccezion fatta per Gatsby, è un ricco aristocratico, un ereditiere o un giovane con problemi finanziari (si prenda ad esempio Nick), ma pur sempre appartenente alla upper class. Il vero motivo per cui il Gatsby dalle umili origini è diventato ricco è dato dalla voglia di appartenere a quel mondo e di ottenere qualcosa di “incorruttibile” da quest’ultimo attraverso il denaro, ovviamente. Quel qualcosa dà a Gatsby speranza, un sentimento che, tuttavia, pagherà a caro prezzo. Le riprese sono state effettuate, in parte, in una ricostruzione australiana di New York, vicino Sidney.
Di rilievo è anche l’apparizione dell’attrice Care Mulligan, nel film Daisy, una giovinetta ricca e viziata, non pronta certo a seguire l’amore per rinunciare allo status sociale e agli agi acquisiti che le conferisce il matrimonio. Poi c’è Tom Buchanan (Joel Edgerton), il marito di Daisy, insopportabile newyorchese con la fissa per l’adulterio, il gioco d’azzardo, l’alcool e i bordelli, nonché ossessionato anche dalla possibile ascesa al potere dei poveri diventati ricchi come il giovane Gatsby. Molte scene sono accompagnate dalla voce narrante di Tobey Maguire, con in sovrimpressione scritte tratte dal romanzo di Fitzgerald. Ed è proprio l’ultima, forse la più significativa, a restituire il senso di una morale che non c’è, grazie all’esaustiva tecnica, in questo caso, dei puntini di sospensione prima di una frase che altrimenti, se completata, sarebbe stata scontata.
«Gatsby credeva nel futuro orgiastico che anno dopo anno si allontana da noi. Allora ci sfuggì, ma non importa: domani correremo più veloce, distenderemo le braccia più lontano… e un bel mattino… Così seguitiamo a bordeggiare come barche controcorrente, sospinte di continuo nel passato.»
Alberto Molino
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Fondatore di Voci di Città, ex direttore responsabile dello stesso, ora cura la rubrica di tecnologia di NewSicilia, ha lavorato al Quotidiano di Sicilia, ha collaborato con Sicilia Journal, ha pubblicato un romanzo e un racconto, ha 26 anni ed è laureato in Scienze della Comunicazione. Quando ne aveva 18 ha vinto un premio nazionale per avere diretto il migliore giornalino scolastico del Paese. Definito da alcuni fascista e da altri comunista, il suo vero orientamento politico non è mai stato svelato, ma una cosa è certa: Molino non lo ferma nessuno, tranne forse la sua ragazza.