I cambiamenti annunciati dalla FIMI – Federazione Industria Musicale Italiana – negli ultimi mesi del 2021 sono il presagio di un tentativo di rivoluzione del mercato discografico italiano.
Qualche mese fa, a ottobre, era stato annunciato che a partire dalla prima settimana del 2022 sarebbero cambiati i criteri per assegnare il disco d’oro e il disco di platino, decisione presa in seguito a un’indagine della GfK Italia, la quale aveva mostrato, attraverso un grafico, come vi fosse una differenza troppo grande tra il numero di certificazioni ottenute nel 2020 e quelle ottenute nel 2021. Ad esempio, sul fronte dei singoli, si nota un aumento esorbitante che passa dalle 360 certificazioni conferite nel 2020 alle 733 del 2021.
Ricordiamo, tra l’altro, che nel conteggio delle vendite vengono inseriti pure gli ascolti in streaming, anche se con delle regole ben precise: infatti, per quanto riguarda gli album, hanno valore solo gli streaming che provengono da account premium, e per convertire gli ascolti in vendite viene seguito il modello “Nordic Sea”, per cui vengono sommati tutti gli ascolti delle singole tracce del disco in questione, vengono esclusi gli ascolti del primo brano più ascoltato e il numero totale viene diviso per 1300.
Se può sembrare complicato, per i singoli diventa ancora più semplice convertire l’ascolto in vendita: 130 ascolti in streaming equivalgono a 1 download digitale.
Con la nuova nota metodologica, però, la situazione cambia: adesso, per ottenere il disco d’oro, bisogna vendere ben 70.000 copie, mentre prima erano sufficienti solamente 35.000 copie; per il disco di platino invece si raddoppia da 50.000 a 100.000 copie vendute.
Qualche giorno fa la FIMI, tramite il suo sito ufficiale, ha comunicato che a partire dalla prima settimana di gennaio 2022 cambieranno anche i criteri per gli instore, i “gruppaggi”, i bundle e gli eventi dal vivo.
È bene riflettere qualche momento sull’importanza che hanno avuto gli instore negli anni che vanno dal 2010 al pre-pandemia. Con la diffusione sempre più capillare di Internet e la conseguente possibilità di poter scaricare gratuitamente qualsiasi tipo di file, il mercato discografico internazionale ha subito un notevole rallentamento: i dischi, la maggior parte delle volte, restavano sugli scaffali dei negozi a raccogliere polvere, salvati da quei pochi collezionisti e appassionati di musica, i quali però non erano sufficienti a ravvivare il mercato. Come ovviare, allora, a questa crisi? Ecco che cominciano a diffondersi i firmacopie, eventi che hanno avuto la capacità di attirare folle di fan che, per una foto con il proprio artista preferito, erano disposti a spendere dai 15 ai 20 €.
Capiamo bene che, con un escamotage del genere, è molto semplice per qualsiasi artista mediamente conosciuto raggiungere il traguardo del disco d’oro o di platino. Non a caso, molti artisti fuori dal coro hanno sottolineato proprio quest’aspetto, beffandosi di chi millanta certificazioni che, senza gli instore, probabilmente non avrebbe mai ottenuto.
Questa fiaba sembra giungere adesso al termine, con un finale che ha poco di lieto: i nuovi criteri non sono ancora molto chiari, ma secondo qualche indiscrezione, per gli instore l’acquisto sarà limitato a un massimo di tre copie per ogni persona, e le majors saranno obbligate a fornire una serie di dati. Sul fronte dei bundle, i dischi che cioè vengono venduti insieme ai gadget, il prezzo deve essere aumentato del 20% quando sono inclusi articoli di basso valore, e dell’80% quando gli articoli hanno un valore più alto, è quindi il caso di felpe e t-shirt.
Insomma, una vera e propria rivoluzione che sconvolgerà, ancora una volta, il mercato discografico italiano.
Come reagiranno le grandi majors? È molto probabile che, anche questa volta, riusciranno a trovare un metodo per continuare a mantenere alte le vendite, nonostante tutto.
Giordana Fichera
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