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“Sogno di una notte a Bicocca” e il potere terapeutico del teatro
26 Febbraio 2018
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“Sogno di una notte a Bicocca” e il potere terapeutico del teatro

Home » Città » Catania » “Sogno di una notte a Bicocca” e il potere terapeutico del teatro

CATANIA – I nove detenuti protagonisti dell’impeccabile Sogno di una notte a Bicocca, dopo il successo di critica e di pubblico del debutto, ritornano in scena a grande richiesta fino al 24 febbraio al Piccolo Teatro per la nuova fortunata stagione di Teatro Mobile di Catania.

Lo spettacolo scritto e diretto magistralmente da Francesca Ferro sconvolge, rapisce ed è impossibile non immedesimarsi nel dramma umano e sociale raccontato attraverso una reinterpretazione dal sapore catartico di Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare. L’esperienza umana e lavorativa della regista, nata dopo un interessante laboratorio teatrale vissuto tra le sbarre di Bicocca, arriva al cuore del pubblico, sempre generoso negli applausi, che grazie all’essenziale allestimento scenico di Arsinoe Delacroix ricrea perfettamente un’ala del carcere con grate e spazi ben delimitati, permettendo di poter vivere con grande coinvolgimento la trasformazione di questi uomini in gabbia, senza giudicare la loro colpa, in esseri umani liberi di sognare e dare voce a quella fantasia che la vita con i suoi dolori ha assopito ma non distrutto.

Una regia eccellente quella di Francesca Ferro che in uno scorrevole atto unico di ben due ore ha scritto una delle pagine più belle del nostro teatro realizzando una perfetta osmosi tra ironia, sarcasmo e vita reale senza eccessi o sbavature di alcun genere. Ogni singolo personaggio interpretato da un cast di rara bravura composto da Ileana Rigano, Agostino Zumbo, Mario Opinato, Silvio Laviano, Renny Zapato, Giovanni Arezzo, Francesco Maria Attardi, Giovanni Maugeri, Vincenzo Ricca, Antonio Marino, Dany Break insieme alla stessa Ferro, che dà vita alla regista di questa particolare compagnia, mette in scena con semplicità, e per questo sconvolge come un pugno al centro dello stomaco, la sofferenza dell’anima che trova pace grazie alla funzione terapeutica del teatro.

Un applauso speciale va sicuramente all’interpretazione di Silvio Laviano nei panni del napoletano pluriomicida che dopo numerosi tentativi di boicottare lo spettacolo decide, affidandosi alla regista, di salire sul palco interpretando il folletto Puck al servizio di Oberon, un inedito ed ironico Mario Opinato, il pappone arrestato per istigazione alla prostituzione che conquista tutti con battute esilaranti e improvvisati passi di danza. Toccante la confessione di “Provola”, il giovane detenuto ragusano, rinchiuso per omicidio si sfoga con la regista, l’unico raggio di sole arrivato in quel luogo in cui la luce arriva a strisce, l’involontario assassinio di un bambino vissuto come una colpa immensa che neanche la pena della detenzione può alleviare.

Il testo di Shakespeare completamente stravolto grazie alle influenze dialettali, i ragionamenti tipici di chi non si abbassa al volere degli altri, come nel caso del mafioso Melo Russo, uno straordinario Agostino Zumbo, o l’arrogante “Polifemo”, soprannominato così perché durante l’arresto ha perso un occhio, magistralmente interpretato da Francesco Maria Attardi, diventa la voce di un gruppo di uomini che hanno scoperto per la prima volta libertà di sognare grazie alla magia del teatro.

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