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Scupa: l’anima popolare della Sicilia raccontata attraverso le carte da gioco
20 Luglio 2019
CataniaEntertainmentDietro le quinteCittà

Scupa: l’anima popolare della Sicilia raccontata attraverso le carte da gioco

Home » Città » Catania » Scupa: l’anima popolare della Sicilia raccontata attraverso le carte da gioco

L’imponenza e la magnificenza del castello normanno di Acicastello, il rumore del mare e il sapore magico di una notte d’estate tutta siciliana sono la naturale scenografia di Scupa, coinvolgente ed itinerante spettacolo conclusivo della terza stagione di Teatro Mobile di Catania, in scena fino a domenica 14 luglio.

Una rappresentazione nata da un’idea di Guglielmo Ferro, autore anche della regia, e Angelo Scandurra che racconta la Sicilia con le sue contraddittorie bellezze e difficoltà attraverso i testi originali di Giuseppe Bonaviri, Ottavio Cappellani, Emilio Isgrò, Micaela Miano, Angelo Scandurra, Gabriella Vergari e Carmen Consoli.

Una messa in scena, dedicata al collega attore Luigi Nigrelli prematuramente scomparso, che conquista, diverte e stupisce dando voce ai protagonisti delle carte da “Scopa” raccontando il proprio percorso di vita, come nel caso del “Due di coppe” interpretato da un istrionico Gino Astorina, o la visione della vita secondo la passionale e fedele “Donna di Bastoni” resa sincera e reale da Francesca Ferro accompagnata dalle musiche dal vivo dei Lautari di Puccio Castrogiovanni e Gionni Allegra.

Magicamente le carte da gioco diventano uomini e donne in carne ed ossa con sentimenti, pulsazioni e umanissime debolezze che si nutrono di verità per rivendicare i valori più sacri della vita come quando Pasquale Platania nei panni del “Re di Spade” sguaina la sua spada per difendere la Sicilia e la sua gente, affinché la nostra terra continui a splendere nel fulgore dei suoi antichi valori e delle sue fisionomie artistiche.

Le carte più significative del mazzo entrate di diritto nel linguaggio quotidiano di ognuno di noi sposano la bellezza della parola per incantare il pubblico con la semplice realtà dei loro versi come accade per il “Tre di oro” interpretato da Agostino Zumbo, Giovanni Arezzo e Giovanni Maugeri che ammaliano e illudono con il luccichio del loro oro e della loro abbondanza non sempre veritiera. Grande sincerità dietro il racconto del “Settebello” interpretato da Damiano Randazzo oggetto di desiderio di ben sei donne: Verdiana Barbagallo, Maria Chiara Pappalardo, Chiara Calì, Nicoletta Seminara e Giusi Gizzo, autrice anche dei costumi e della scenografia, le quali fanno di tutto per mettersi in mostra agli occhi dell’aitante giovane. Il menefreghismo, l’apatia e la non voglia di fare di chi escogita di tutto per non impegnarsi o lavorare sono magistralmente narrate da Luciano Messina nei panni del “Due di Spade” che alla responsabilità e all’alterigia preferisce il suo dolce far niente. All’estro di Plinio Milazzo è affidato il compito di dar voce ai quattro cavalli che devono “tiniri ‘a cura, picchi si incagghiano u’ re, a scupa ca motti arriva”. Lucia Sardo è la “Donna di Oro” che con i suoi colori narra la storia della nostra isola, terra di conquista e di re rievocando personaggi storici e leggendari come Gammazita.

L’accurata regia di Guglielmo Ferro con un percorso drammaturgico originale ed estremamente innovativo, tra musiche e canti, in una sorta di via crucis della bellezza omaggia attraverso la voce popolare delle carte l’anima della nostra terra con uno spettacolo di alto valore artistico e culturale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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