Correva il primo ottobre dell’anno 1976 quando la prima puntata di Candy Candy andò in onda nella televisione giapponese, sul canale Asahi TV; in Italia, facendo sognare milioni di bambine, arrivò solamente quattro anni più tardi, nel 1980. La protagonista nasce dalla matita di Yumiko Igarashi, che pubblica i suoi lavori nel 1975. La storia si ispira inoltre all’omonimo romanzo scritto da Kyoko Mizuki. Candy Candy si può considerare a tutti gli effetti un mito per le ragazze (e non solo) degli anni Ottanta: la storia della piccola orfana dagli occhi verdi e i riccioli d’oro commuoveva per le sue mille vicissitudini e per la sua forza che le permetteva di affrontare le più svariate avversità. Ambientata nell’orfanotrofio Casa di Pony, dove è cresciuta, Candy Device puntata dopo puntata cresce raccontando prima la sua infanzia, poi la sua adolescenza vissuta tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Dolcissima e gioiosa, scatenava nelle ragazzine una diatriba profonda a proposito delle sue cotte amorose: chi preferire come fidanzato tra Anthony o Terence?
Nel Bel Paese la serie di 115 puntate è andata in onda dal 1982 al 1997 su Canale 5 ma a causa di alcuni problemi legali con l’autrice del manga, da vent’anni a questa parte la TV italiana non ha il permesso di mandare in onda le puntate. Indimenticabile è stata la sigla, sia quella iniziale dei Rocking Horse che quella interpretata da Cristina D’Avena, voluta da Mediaset. Come dimenticare poi tutto il merchandising dedicato alla serie? Impazzarono in tutti i grandi magazzini dell’epoca quaderni, taccuini, gomme per cancellare, bambole di ogni misura, tazze e piatti con su la biondissima eroina. Addirittura la Fabbri Editore pubblicò per un periodo una sorta di almanacco per le teenagers con consigli sulla musica, sui viaggi, sulla beauty e la moda. Capostipite degli anime dal tema girl power (dopo di lei sbarcarono infatti in TV Kiss me Licia, Sailor Moon e Lady Oscar) oggi non possiamo che auguragli un buon quarantesimo compleanno.
Chiara Grasso
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