L’ormai lontano 16 giugno 1997 segnò l’esordio sul mercato del singolo Bitter Sweet Symphony, degli inglesi Verve, uno dei brani più popolari e meglio riusciti degli ultimi decenni. Dotato di un apertura di violini immediatamente riconoscibile e di un testo particolarmente profondo, è alquanto difficile non aver ascoltato almeno una volta il brano, anche perché esso, nel corso degli anni, è stato utilizzato in numerose pubblicità e nei più disparati contesti possibili.
Tuttavia, non sono in molti a conoscere l’aspra diatriba legale che ha caratterizzato la “vita” della canzone e che, per lungo tempo, ha impedito al suo autore, Richard Ashcroft (il cantante dei Verve), di godere dei proventi economici derivanti dal proprio pezzo più famoso.
Sembra difficile da credere ma la lunga parabola di Bitter Sweet Sympony affonda le proprie radici negli anni Sessanta, l’età del rock’n’roll che vide la formazione e affermazione di alcuni fra i più grandi e noti gruppi musicali di sempre, fra cui i Rolling Stones. In particolare, uno dei primi singoli della band fu The Last Time, brano pubblicato nel 1965 che, ad oggi, rimane tra i pezzi più noti e di maggior successo del gruppo britannico.
Ma cosa lega The Last Time e Bitter Sweet Symphony? Ad un primo ascolto, le due canzoni non paiono avere alcun punto in comune e, a dirla tutta, neanche molteplici ascolti dei brani consentiranno di trovare qualsivoglia similitudine fra essi…almeno, se si prende a riferimento la versione originale del brano.
Infatti, sempre nel corso dei c.d. “Swinging Sixties”, parallelamente all’affermazione della musica pop e del rock’n’roll, era usuale “riarrangiare” in chiave orchestrale i più famosi brani pop e rock’n’roll del momento; questo trend non sfuggì all’allora manager dei Rolling Stones, Andrew Loong Oldham il quale, prendendo spunto da quanto fatto dal produttore dei Beatles George Martin, commissionò un progetto parallelo che prese il nome di Andrew Oldham Orchestra (pur non essendo una vera e propria orchestra stabile) che si occupò di comporre ed incidere riedizioni strumentali e orchestrali di alcuni tra i più noti brani dei Rolling Stones, fra cui, appunto, The Last Time, riarrangiata dal compositore David Whitaker.
Stavolta, all’orecchio dell’uditore del terzo millennio, questa versione (più lenta dell’originale) risulta molto simile a Bitter Sweet Symphony, quasi come se ne fosse la base strumentale ed è con riferimento ad essa che, dunque, emerge il forte legame tra i due brani. L’album che raccolse le riedizioni strumentali dei successi della band londinese, The Rolling Stones Songbook, non godette di particolare fama e passò agli archivi come una fra le tante compilation orchestrali di canzoni pop famose dell’epoca, sembrando destinato al dimenticatoio o, comunque, riservato ad una nicchia molto ristretta di estimatori del genere.
Tuttavia, nella prima metà degli anni Novanta, i rifacimenti orchestrali di qualche decennio addietro vivono una seconda giovinezza, finendo per essere riscoperti dalle band emergenti dell’epoca che, non infrequentemente, traevano spunto e ispirazione da questi lavori per buttar giù nuove idee; fra costoro vi erano gli allora semi-sconosciuti Verve i quali furono catturati dalla composizione di Whitaker e se ne innamorarono, decidendo di farne la base per un nuovo brano.
I diritti della versione orchestrale di The Last Time erano (e sono tutt’ora) detenuti dalla Decca Records ed è a tale etichetta che si rivolse la band per ottenere l’autorizzazione ai fini del campionamento del brano, dal quale vennero estrapolati alcuni elementi che funsero da fondamenta di ciò che sarebbe diventata Bitter Sweet Symphony; muovendo da questo campionamento, opportunamente riadattato e modificato, nonché corredato da una serie di tracce musicali originali (fra cui, la celebre apertura col violino del brano) e da un testo nuovo di zecca, i Verve lavorarono alacremente al pezzo che sarebbe stato la punta di diamante del loro nuovo disco, Urban Hymns, prodotto dalla casa discografica EMI, che lanciò la band nel firmamento delle stelle della musica internazionale uscito il 29 settembre del 1997 e anticipato dal suddetto singolo, pubblicato il 16 giugno del medesimo anno.
Ora, solo dopo l’uscita del singolo, la band e il suo management si rese conto di aver saltato un passaggio chiave, commettendo un fatale errore di natura legale; infatti, se è vero che il campionamento della versione strumentale di The Last Time era avvenuto nel rispetto della normativa sul diritto d’autore e con il benestare dell’etichetta di riferimento, tuttavia, per inesperienza e negligenza (dettata, probabilmente, dalle tante differenze fra le due versioni del brani), i Verve non presero in considerazione l’idea di ottenere un nulla osta da chi, invece, deteneva i diritti della versione originale di The Last Time, ovvero l’ABKCO Records dello “squalo”, Allen Klein.
Costui era uno spregiudicato (e pregiudicato, per evasione fiscale) imprenditore il quale fu manager dei Beatles (dai più additato come concausa del loro scioglimento) e proprio dei Rolling Stones (raccogliendo il testimone, nel 1965, da Oldham che continuò a collaborare con la band nelle vesti di produttore) dei quali deteneva il copyright su ogni produzione fino al 1971.
Resosi tardivamente conto del grave errore di valutazione, il manager dei Verve, Jazz Summers, contattò l’ABKCO per ottenere il permesso retroattivo ad utilizzare il sample del brano originale ma la collaboratrice di Klein con cui si raffrontò, Iris Keitel, la quale conosceva bene la forma mentis del vertice dell’etichetta, mandò letteralmente a quel paese Summers, sottolineando una certa contrarietà e diffidenza verso la pratica del campionamento di opere dell’ingegno altrui.
Data la gravità della situazione, l’allora presidente di EMI Records, Ken Berry, si recò a New York presso l’ufficio di Klein al fine di fargli ascoltare l’intero album Urban Hymns, ponendo particolare enfasi su Bitter Sweet Symphony, il pezzo forte del progetto dei Verve, quasi pregandolo di concedere l’autorizzazione all’uso del campionamento.
In un primo momento, Klein rispose: “Non avrete il permesso per l’utilizzo del campionamento, non sosteniamo questo tipo di attività”; tuttavia, dopo qualche giorno, avendo fiutato di avere un grosso affare tra le mani e resosi conto di aver messo l’EMI e i Verve con le spalle al muro, ricontattò la controparte e decise di fare un’eccezione alla regola, ma solo a patto che Ashcroft rinunciasse alla paternità del testo del brano e che la ABKCO ottenesse, in esclusiva, tutti i diritti di pubblicazione della canzone.
Ora, stando alle parole del bassista dei Verve, Simon Jones: “L’accordo iniziale prevedeva un’equa ripartizione a metà tra le due parti dei proventi economici della canzone.”; tuttavia, una volta che Klein capì quanto stesse vendendo il brano e quanto avrebbe potuto ricavarne, decise di infliggere il colpo finale. Infatti, senza alcuno scrupolo, denunciò la band accusandola di avere utilizzato una porzione più estesa del campionamento pattuito, un estremo sufficiente a far scattare il reato di plagio, e pretese il 100% delle royalties derivanti dalle vendite e dall’utilizzo di Bitter Sweet Symphony e l’attribuzione della paternità del testo a Mick Jagger e Keith Richards dei Rolling Stones, pur non avendo in alcun modo contribuito alla creazione della canzone, se non con un tortuoso nesso eziologico (più fittizio che fattuale) che risale alla versione originale di The Last Time, pena il ritiro dai negozi e e l’inibizione della diffusione audiovisiva dell’intero album.
Per evitare una lunga battaglia giudiziaria che non necessariamente si sarebbe risolta a proprio favore, essendo un’accusa particolarmente difficile da smontare in giudizio, EMI e i Verve decisero di risolvere la controversia in via extra-giudiziale; dietro la corresponsione della modica cifra di 1000 dollari ad Ashcroft, furono assecondate tutte le richieste di Klein il quale, parlando della vicenda col famoso fotografo musicale Mick Rock, disse: “Sono stato molto cattivo.”
In poche parole, i Verve non hanno potuto godere di un singolo centesimo del loro maggiore successo artistico ed economico e, come se non bastasse, il brano fu usato, contro la loro volontà, in numerose pubblicità che, invece, arricchirono ulteriormente le casse dell’ABKCO, senza contare una nomination del pezzo ai Grammy Awards del 1999 a nome di Jagger e Richards; con molto sarcasmo, Ashcroft dichiarò che Bitter Sweet Symphony fosse: “Il miglior pezzo che Jagger e Richards abbiano scritto negli ultimi vent’anni, essendo l’hit di maggior successo nel mercato inglese dai tempi di Brown Sugar (del 1971, ndr)”.
Peraltro, piovve sul bagnato perché Andrew Oldham, il vecchio manager degli Stones che curò la realizzazione della versione orchestrale, portò in tribunale la band per la mancata corresponsione delle royalties meccaniche (il diritto alle quali matura ogni volta che un soggetto ottiene la licenza commerciale a riprodurre il brano meccanicamente, appunto, attraverso la realizzazione di un cd, tramite un download, l’attuale streaming e così via) per un totale di 1,7 milioni di dollari e, dopo averli ottenuti, disse beffardamente in un’intervista: “Ho comprato una bella cintura per il mio orologio (in confronto al metaforico orologio di lusso che avrebbero potuto comprare Jagger e Richards, con riferimento agli ingenti guadagni ottenuti dalle vendite del brano, ndr)”.
È sconfortante che i Verve abbiano vissuto quest’incubo per via di un campionamento che, data l’elaborata struttura musicale, si sente appena nel risultato finale del brano e la cui rimozione non avrebbe pregiudicato l’unicità e la riuscita del pezzo; altrettanto curioso, poi, che The Last Time dei Rolling Stones fosse, a propria volta, fortemente ispirato al canto popolare gospel This May Be The Last Time reso celebre, in particolare, dagli Staple Singers i quali, però, non ottennero benefici economici né dal brano dei Rolling Stones né, tantomeno, dal brano dei Verve.
Inoltre, suona beffardo che l’unico soggetto il quale avrebbe realmente potuto avere voce in capitolo, quel tale David Whitaker che aveva reinterpretato in chiave orchestrale The Last Time e, quindi, involontariamente gettato le basi per Bitter Sweet Symphony, non abbia visto un penny nel corso di quest’intricata controversia.
Gli anni passarono ma Richard Ashcroft non ha mai mollato il sogno di rimettere le cose a posto: fu così che, nel 2019, in occasione degli Ivor Novello Awards, il cantante britannico annunciò che i Rolling Stones e la ABKCO avessero rinunciato alla paternità del testo di Bitter Sweet Symphony e alle royalties future sul pezzo (magra consolazione, forse, visti gli impressionanti dati di vendita del brano), grazie anche ad un’oculata mediazione con Jody Klein (figlio di Allen che, evidentemente, voleva rimediare agli errori del padre) e il manager attuale degli Stones Joyce Smith. Ashcroft ha affermato: “È per me un grande piacere annunciare che il mese scorso Mick Jagger e Keith Richards hanno accettato di concedermi la loro parte dei diritti sulla canzone Bitter Sweet Symphony. Questa straordinaria e appagante svolta è stata resa possibile dal gesto gentile e generoso di Mick e Keith, che si sono anche detti contenti di togliere i loro nomi da quelli dei compositori, così che tutte le future royalties derivanti dal brano passino a me. Non ne ho mai fatto una questione personale con gli Stones. Sono e saranno sempre la più grande band rock’n’roll del mondo.”
Tra l’altro, dato che il brano apre la trasmissione televisiva delle partite della nazionale di calcio inglese, Ashcroft ha altresì affermato che, finalmente, potrà godersi il momento senza farsi il sangue amaro; non è, dunque, difficile immaginare il cantante particolarmente sollevato, in occasione dello svolgimento degli attuali Europei, a prescindere dal risultato delle partite della nazionale dei Tre Leoni.
Insomma, quasi a far eco alla narrazione di una vita dolce-amara che si fa nel brano, ad un inizio particolarmente amaro, ha finalmente fatto seguito un meritato dolce e lieto fine di questa epopea giudiziaria e del percorso esistenziale di una delle canzoni più belle e profonde dell’ultimo quarto di secolo.
Copyright foto: © rogerwoolman.com
Christian Ferreri
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