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AI art: quando l’intelletto esaurisce l’intelletto
06 Aprile 2023
Art attackEntertainmentSocietasAttualitàDante & SocrateTech

AI art: quando l’intelletto esaurisce l’intelletto

Home » Dante & Socrate » Art attack » AI art: quando l’intelletto esaurisce l’intelletto

Un fenomeno ormai noto a tutti quello dell’AI art (Artificial Intelligence art): se ne trovano molti esempi nei social più in voga, da Instagram a Tik Tok, e stanno facendo molto discutere. Da una parte il mondo degli artisti in rivolta, dall’altro i problemi legati alla disinformazione, oltre che le possibili conseguenze negative sul mondo del lavoro. Un caso non indifferente, costantemente in sviluppo e che non sappiamo quali implicazioni future potrà avere.

Una lunga ma rapida storia

A livello accademico, l’intelligenza artificiale inizia ad affermarsi come oggetto di studio a partire dal 1956. Nei primi anni ’60 fa la sua comparsa un primo sistema artistico denominato AARON, ad opera di Harold Cohen: si passò in breve tempo da disegni in bianco e nero alla capacità di realizzare anche dipinti a colori.

Facendo un passo in avanti, nel 2014 viene realizzata GAN, composta da un generatore di immagini e un discriminatore. Altri esempi sono quelli di DeepDream nel 2015 (di casa Google) oppure Artbreeder nel 2018. I più recenti sistemi partono da input verbali basati su parole chiave da cui poi generare un’immagine, attraverso anche altri parametri come lo stile artistico da utilizzare.

Scenic Valley in the Afternoon Artistic
Crediti: Wikipedia

L’arte libera (soprattutto se di altri)

Spesso e volentieri, nel dibattito esclusivamente artistico legato alla AI art, si è posto l’accento sulla non-artisticità di queste realizzazioni: si tratta di fatti di intelligenze artificiali che rielaborano materiale già esistente per creare qualcosa di nuovo.

Ma volendo lasciar perdere queste considerazioni, c’è qualcos’altro che desta lamentele dal mondo artistico e non solo. Una problematica non indifferente che esula dalla semplice “creazione” di opere da parte di un programma/macchina. Queste intelligenze infatti usano materiale altrui, mettendolo insieme e rielaborandolo, per poi ottenere un nuovo risultato. In questo caso, si potrebbe obiettare che il materiale intellettuale altrui è da sempre – nel corso della storia – “preso in prestito” e usato come modello per poi creare una nuova opera. Tuttavia, ci si dimentica di un particolare: nelle intelligenze artificiali manca il vaglio dell’intelletto umano, manca la singolare tendenza a riformulare un determinato elemento in base a una propria sensibilità o un proprio vissuto e, soprattutto, una propria formazione culturale.

Andrebbe inoltre considerata la questione relativa al diritto d’autore e al copyright. Molti artisti hanno protestato a riguardo in una maniera molto particolare: hanno incaricato i principali sistemi di AI art di creare immagine ispirate a importanti icone di colossi quali Disney e Pokemon, dimostrando come questi sistemi – talvolta – raggiungano livelli pari all’originale.

C’erano una volta Trump, Papa Francesco e…

Nell’ultimo periodo sono circolati online numerosi deepfakes, ovvero foto ritraenti personaggi di spicco in vesti insolite o in momenti particolari. Non sarebbe del tutto corretto parlare di fake news, tuttavia, è chiaro come a primo impatto tali immagini siano in grado di scombussolare l’opinione pubblica e metterla in crisi.

Tra i casi più recenti abbiamo quello di Donald Trump, da poco legato a uno scandalo e su cui pende un mandato d’arresto, ritratto per l’appunto mentre tenta di liberarsi dall’azione di un gruppo di agenti. Una osservazione più attenta, senza un eccessivo impegno, fa notare fin da subito come i soggetti siano poco chiari nei volti o incoerenti nelle posture e soprattutto eccessivamente plastici.

Ben più controverso e ingannevole è il caso della foto di Papa Francesco streetwear, dal lungo cappotto bianco alla moda. Ciò che soprattutto ha confuso chi guardava l’immagine era l’estrema cura nella realizzazione delle mani, che fino a quel momento era stato uno dei punti deboli di questi sistemi e fungeva da discrimine certo.

È chiaro che nell’effettivo questi casi non hanno vere e proprie conseguenze. Bisogna però rendersi conto quanto queste intelligenze – in breve tempo – stiano facendo passi da gigante e potrebbero portare a casi sempre più realistici. Soprattutto quando questa ondata coinvolgerà anche individui privi di contraddittorio, non sappiamo cosa potrà accadere.

La rivolta delle macchine: tra distopico e realtà

Già da tempo il dibattito pubblico è interessato a come le intelligenze artificiali (o le macchine in generale) possano “rubare” il lavoro all’essere umano, sostituendolo. Il progresso e l’automatizzazione di alcuni processi, oggi a carico dell’uomo, è inevitabile. Tuttavia, non deve essere necessariamente un male: potrebbe  rappresentare un bene in prospettiva di quell’idea di settimana corta e recupero del tempo da dedicare a sé stessi – per un maggiore benessere – già in atto in alcuni paesi europei. Sarà difficile, senza dubbio, ma bisogna in ogni caso tener conto che il mondo lavorativo si modificherà di conseguenza e nasceranno nuove professioni. 

Nell’immediato, tornando al discorso relativo all’AI art, si teme che grafici o designer possano perdere il loro posto di lavoro. Questo potrebbe rappresentare nell’effettivo un rischio più concreto, ma lasceremo parlare il tempo ed è inutile pensare a una rivolta delle macchine.

Chi la genera, la vince

Per ora calma piatta, non c’è da preoccuparsi e soprattutto non è il caso di richiamare dalla tomba Asimov o Dick. Io robot? No, tu tranquillo. Ciò che è certo e che sistemi come Midjourney, uno dei più discussi, si stanno arricchendo in maniera non indifferente e non è da farne una colpa. Sono altri che utilizzano questi sistemi e la responsabilità dei creatori delle intelligenze è relativa.

Vedremo come tutto si evolverà. Rimane però un dubbio: le intelligenze artificiali, sognano impressionisti elettrici?

Riccardo Bajardi

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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