Il Novecento è un grandissimo laboratorio di innovazioni e sperimentazioni, per fortuna non tutte terribili e luttuose. La storia culturale (o – nell’uso francese – la storia delle mentalità) si occupa del significato che i soggetti attribuiscono al loro agire e dei modi attraverso i quali tale significato viene identificato e costruito; la storia sociale studia, invece,i modi attraverso i quali le persone si riuniscono o si distinguono all’interno della medesima società. Da questo punto di vista, negli anni Sessanta del XX secolo, movimenti culturali e politici hanno spinto a una gioiosa rottura delle censure che gravavano fino ad allora sulla cura di sé, sulla libertà d’espressione e sul modo di vivere le relazioni sociali, razziali, familiari, sessuali e di genere.
Nel quadro del modo di vivere le relazioni razziali, nella primavera del 1965 un gruppo di manifestanti, guidati dal reverendo Martin Luther King, scelse la cittadina di Selma in Alabama, nel profondo sud degli Stati Uniti, per protestare pacificamente contro gli impedimenti opposti ai cittadini afroamericani nell’esercizio del proprio diritto di voto. Per merito del suo movimento pacifico per il riconoscimento dei diritti in favore degli afroamericani, King vinse il premio Nobel per la pace a Oslo nel 1964.
La regista Ava DuVernay del film Selma – La strada per la libertà mette in scena i momenti in cui King (interpretato nel film da David Oyelowo) tiene emozionanti discorsi, nei quali sostiene di sognare che i bianchi e i neri possano vivere in pace, oltre ad augurarsi che il principio enunciato nella Dichiarazione d’Indipendenza, secondo cui gli uomini sono stati creati uguali, possa diventare realtà. «I have a dream» scandisce più volte Martin Luther King. Un sogno che, in qualche misura, il Presidente Lyndon Johnson (nel film interpretato da Tom Wilkinson) condivide.
La sua presidenza (1963-1969) si caratterizza effettivamente per una vasta ed efficace politica sociale. Nel 1964 il Civil Rights Act (Legge sui diritti civili) dichiara illegale la discriminazione in ogni campo della vita civile; tra il 1964 e il 1965, le norme che ostacolano la partecipazione della popolazione nera vengono abolite, e fra queste c’è la Poll Tax, cioè la tassa per iscriversi alle liste elettorali, che costituisce oltretutto il nodo centrale della narrazione della DuVernay. La storia raccontata da Selma restituisce alla politica il suo significato superiore: le scelte di King sono dettate dal bene comune; il suo infallibile istinto gli fa compiere gesti anche impopolari, ma di lungimiranza storica inconfutabile; ed è il suo stesso istinto che mette in luce la necessità (e fondamentale nobiltà) della negoziazione politica indirizzata verso un fine ultimo elevato. La capacità di King di non accontentarsi del successo temporaneo per tenere lo sguardo fisso sulla meta finale è un saggio narrativo (anche questo adatto ai nostri tempi) su ciò che differenzia un leader da un politicante. Il messaggio del film è chiaro: nessuno deve dimenticare.
Il film è interessante oltre che utile, non solo perché offre una lettura storica che non tutti conoscono, ma anche perché, giocando sulla dualità tra mito e uomo in carne ed ossa, coglie piccole angosce, errori, incertezze e timori. Inscenando anche le dinamiche personali e quelle familiari che caratterizzarono King, la regista riesce a proiettare sullo schermo tutta quella forza interiore che ognuno avrebbe se fosse in grado di accedervi. La tecnica registica della DuVernay è, in un aggettivo, seduttiva, nel senso che attira gli spettatori dentro il racconto impedendo loro di avere distanza emotiva e riuscendo a stimolare la vera volontà di educazione culturale. Il cinema presentato dalla regista è strumento di sviluppo e amplificazione dell’opinione pubblica, attraverso la sincronizzazione tra piano temporale ed emozionale. Il film, in un certo modo, ci presenta dei particolari storici e umani del mondo che, in quanto tali, ci pongono delle domande, così come fa da sempre ogni testo poetico, letterario o d’altro genere che si rispetti.
Le immagini con cui viene sostanziata la storia si fissano nella mente dello spettatore enel buio della sala in un tempo sospeso, quale è quello della proiezione cinematografica, ed acquistano una forza e una nitidezza particolari, tanto da divenire in molti casi simboliche, emblematiche di particolari situazioni esistenziali. Nella pellicola si vuole rendere anche possibile un primo contatto con le fonti storiche, cosicché chi vede il film può – almeno in qualche misura – entrare in un rapporto meno mediato con l’atmosfera culturale, i valori, gli interessi, i traumi e i sogni dei protagonisti, nella consapevolezza che parti significative di quelle esperienze mostrate in sala continuano ad abitare ancora le nostre menti, modellando le nostre speranze e le nostre paure. Il film ha ricevuto due nomination agli Oscar, come miglior film e miglior canzone. Ha inoltre vinto l’Oscar per la miglior canzone (Glory) di John Stephens e Lonnie Lynn, ed è uscito nelle sale cinematografiche italiane giovedì 12 febbraio.
Enrico Riccardo Montone
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