Correva l’agosto del 1961 quando un muro di oltre 140 chilometri interruppe la quotidianità degli abitanti di Berlino, ergendosi a confine invalicabile tra l’ Est sovietico e l’ Ovest della città. Famiglie, amicizie, amori, routine e diritti messi (letteralmente e non) a muro per ben ventott’ anni a causa di quella Guerra Fredda che congelò il senso di umanità in nome di esigenze antifasciste da una parte e antimigratorie dall’altra. Soltanto la sera del 9 novembre 1989, in seguito alla decisione del Partito Socialista Unitario di introdurre nuove regole che permettessero di oltrepassare l’insidiosa e massiccia barriera, i posti di blocco furono aperti e il 3 ottobre dell’anno successivo Berlino tornò ufficialmente a essere un’unica variegata realtà.
Del muro, oggi, oltre la memoria, la vergogna e l’indignazione di chi c’era e la corrispettiva felicità e commozione di chi lo ha visto cadere, rimane ben poco. Sono tre le porzioni più significative ancora visibili, una delle quali (la nota East Side Gallery) lungo le sponde del fiume Sprea, è stata ricoperta da graffiti colorati dagli alti connotati simbolici. Ma come apparirebbe oggi la capitale tedesca se il limite alla libertà dei suoi cittadini fosse ancora presente e tangibile? Se lo è chiesto (non dovendo ricorrere a un eccessivo sforzo di fantasia viste le attuali politiche antimigratorie globali) Ilya Khrzhanovsky, volenteroso di ricreare per fini artistici-culturali un’ambientazione simile a quella degli anni sessanta.
L’idea del regista, che ha già diviso l’opinione pubblica prima ancora che Est e Ovest, è, infatti, quella di ricreare una sorta di città dentro la città, in particolare tra Bebelplatz e Kommandantur. Non solo, quindi, l’allestimento di un muro temporaneo simile a quello voluto dai Tedeschi nella seconda metà del XX secolo, ma una vera e propria ricostruzione della vita e della quotidianità vissuta in quegli anni dai cittadini. Per rendere il tutto più suggestivo, invero, l’artista russo vorrebbe che dal 12 ottobre in poi, per circa un mese, fermo restando l’assoluto rispetto per le necessità lavorative degli abitanti e le esigenze dei residenti, chi desiderasse spostarsi da un lato all’altro del muro debba prima richiedere un visto on-line. Il progetto Dau: Freiheit prevede anche, per tutta la durata dell’installazione, una sostituzione della segnaletica e dell’illuminazione con quella del tempo. Una sorta di viaggio nel passato, insomma, per abitanti di un futuro non ancora troppo lontano. Il muro dovrebbe poi essere smontato il 9 Novembre, data evocativa del vero crollo.
L’iniziativa secondo molti potrebbe offrire parecchi spunti di riflessione rappresentando un’opportunità di sensibilizzazione. Però, da quanto emerso dalla conferenza stampa di qualche giorno fa, potrebbe anche essere destinato a rimanere un’astrazione. Sembrerebbe, invero, che per motivi logistici e di sicurezza l’installazione (anello iniziale di un progetto pronto ad arrivare a Parigi e Londra) potrebbe non venire autorizzata. Tra gli antagonisti del DAU c’è anche chi trova indecoroso e poco rispettoso lucrare sul ricordo di una costruzione del genere. E chissà che nell’Europa dei fili spinati e delle barriere invisibili sollevate da politiche xenofobe, non sia giusto che un muro ancora forse troppo vero per essere finto faccia così paura.
Concetta Interdonato
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