Le basi scolastiche, quelle da noi ricevute, soprattutto al livello di lingua parlata e scritta, sono, si dice, le più solide ed esatte che la scuola italiana, da sempre, elargisce ai propri studenti. In particolare, ci hanno insegnato che: “il verbo rappresenta l’azione compiuta dal soggetto”, che “il soggetto è colui che, appunto, compie l’azione esposta dal predicato verbale”, o anche che, entrambi, debbano sempre esser inseriti accordandone genere e numero; (per non parlare di congiuntivo e condizionale, ma questo è “un altro discorso”). Insomma, la lingua italiana si dispiega da queste piccole e semplici norme che ne regolano lo svolgimento e l’interlocuzione. Ciò nonostante, secondo i linguisti moderni, alcuni dei dettami che ci hanno inculcato sin dalla più tenera età, non sono del tutto esatti; anzi, si pensa che c’abbiano indottrinato con delle regole sbagliate.
Come riporta Wired, infatti, linguisti, glottologi, filologi, e così via, stanno servendosi della lessicografia moderna per riprendere e analizzare siffatti canoni, e cercare di carpirne, ove possibile, eventuali errori o inesattezze che potrebbero influenzare negativamente, e linguisticamente, le nuove generazioni. Vediamo insieme quali sono (nella speranza che se ne faccia tesoro per quella che è la nostra meravigliosa lingua italiana).
È stata svolta un’indagine in cui, i pazienti coinvolti, dovevano rispondere a una semplicissima domanda: si impara prima a parlare o a scrivere? Avendo poco tempo a disposizione per rifletterci su, la maggior parte di essi ha detto “scrivere”. Secondo la logica, la risposta generale avrebbe dovuto essere “parlare”, perché si sa, almeno nei primi anni di vita è questo che si fa; eppure, moltissime persone sono convinte, ancor oggi, che si impari prima a scrivere. Poche sono le certezze nella vita, ma una di queste è proprio quella che si impara prima a parlare e poi a scrivere.
“Gatto”, “sacco”, “matto”, “secchio”, eccetera, son solo alcune delle parole che comprendono, in loro, le doppie lettere. Nella lingua parlata, la differenza fra la presenza di una o due lettere non si sente, l’unica branca in cui sia evidente questa disuguaglianza è lo scritto. Non a caso, noi non pronunciamo mai determinate parole accentuandone la modulazione affinché si senta la presenza di due consonanti: la pronuncia rimane invariata. Quello che hanno sempre cercato di farci capire, invece, è solo il procedimento di suddivisione delle doppie in caso di andata a capo della parola; ma in effetti, le doppie, al livello di suono, proprio non esistono.
Come su detto, da sempre, le prime regole “da non dimenticare” sono quelle inerenti al soggetto e al verbo: il primo, colui che compie l’azione espressa dal verbo, il secondo, l’azione compiuta dal soggetto. Tuttavia, nessuno dei professori d’italiano c’ha mai detto che vi sono delle importanti caratteristiche da tenere in considerazione, ovvero, che nomi come “corsa” – che in sostanza, rappresentano, o possono rappresentare, sia un nome che un verbo –, in realtà, si differenziano dal verbo in termini di genere e numero (maschile o femminile, e singolare o plurale), cose che, difatti, non appartengono, e non apparterranno mai, a un verbo. Quindi, quando vediamo nomi come “corsa”, o “corse”, a meno che non si tratti, nel secondo caso, del passato remoto di “correre”, si parla sempre e solo di nomi.
“Damiano ha subìto un fallo”: in quanti saprebbero dire quale sia il soggetto della frase appena marcata? Sappiamo, sì, che il soggetto è colui che svolge l’azione riferita dal verbo, ma in questo caso sarebbe irragionevole pensare che Damiano abbia fatto in modo di subire il fallo. Ecco, quindi, le bizzarrie dell’italiano, che si risolvono solamente pensando al fatto che il soggetto non è assolutamente il primo elemento letto in una frase, e che prima di azzardare il verdetto, si debba solamente leggere attentamente la frase e meditarvi su.
Alla resa dei conti, non è affatto semplice la nostra lingua, ma proprio in relazione alla sua manifesta difficoltà di apprendimento, sarebbe necessario preparare adeguatamente i professori del futuro che intraprenderanno il percorso di istruttori scolastici, sottoponendoli a test attitudinali di un certo calibro. Forse, non avranno più (i nostri figli e nipoti) gli insegnanti che abbiamo avuto noi, ma con una buona preparazione, soprattutto culturale, mai dire mai. D’altronde, la speranza è sempre l’ultima a morire, no?
Anastasia Gambera
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Ti piacerebbe entrare nella redazione di Voci di Città? Hai sempre coltivato il desiderio di scrivere articoli e cimentarti nel mondo dell’informazione? Allora stai leggendo il giornale giusto. Invia un articolo di prova, a tema libero, all’indirizzo e-mail entrainvdc@vocidicitta.it. L’elaborato verrà letto, corretto ed eventualmente pubblicato. In seguito, ti spiegheremo come iscriverti alla nostra associazione culturale per diventare un membro della redazione.